Cover story

Lobbyng e trasparenza

Fare lobby 2017 numero 9

Quello del lobbying è un tema affascinante e cruciale delle...

Lobbyng e trasparenza

Quello del lobbying è un tema affascinante e cruciale delle democrazie contemporanee. È affascinante perché ha una capacità poderosa di svelare opportunità e rischi dei processi decisionali nei sistemi liberal-democratici, squarciando quel velo di ipocrisia di una certa retorica della vita pubblica, che nasconde sotto il tappeto quello che solo la trasparenza può curare: le distorsioni del potere. Già la parola lobbying fa storcere il naso a molti benpensanti, che si affrettano a evocare i peggiori fantasmi e la più inquietanti minacce per la convivenza civile. Secondo l’etimologia “lobby” è un luogo fisico, perché allude all’area antistante le aule parlamentari nella quale i portatori di interessi incontravano i parlamentari prima del loro ingresso in aula, dove, non a caso, i lobbysti non potevano entrare.

Non è un caso che non vi potessero entrare perché una cosa è fornire al decisore politico il “punto di vista” degli interessi, altra cosa è il momento “deliberativo” in cui il decisore politico (simbolicamente, nell’aula parlamentare) si assume la responsabilità di decidere componendo gli interessi particolari con l’interesse generale.  

Si deve ai campioni del pensiero libero la sottolineatura di questo dato. Luigi Einaudi lo aveva messo in luce quasi un secolo fa (1919) in un saggio pubblicato sul Corriere della sera e intitolato profeticamente Parlamento e rappresentanza di interessi.

Il tema del lobbying è anche cruciale. Significa andare al cuore della democrazia, metterne in luce la sua vera funzione. Che è quella di consentire legalmente lo svolgimento di un “processo” attraverso il quale gli interessi particolari si fronteggiano e si misurano. L’interesse pubblico non è un dato bell’e pronto, ma il risultato dello scontro, a volte feroce, tra interessi contrapposti che si compongono e scompongono fino al momento in cui si riesce a coagulare una maggioranza che determina, provvisoriamente e reversibilmente, cosa sia l’interesse pubblico del momento. È forse questa la ragione principale della diffidenza verso le lobby e verso i gruppi di interesse. Il riconoscimento della loro esistenza svela la fragilità della democrazia, inibisce ogni retorica sulle sue magnifiche sorti e progressive, impedisce di rappresentarla come un luogo ideale in cui si realizza l’armonia collettiva all’insegna di un bene comune che è lì e attende solo di essere disvelato. La democrazia invece è fatica, è scontro (legale), è tessitura di trame fatte di tutte le miriadi di interessi e preferenze che popolano la società. Tanto più le società complesse del XXI secolo.

A riprova di ciò basta ritornare col pensiero all’epoca delle origini e alla progressiva affermazione dei partiti politici, che oggi consideriamo un elemento essenziale della democrazia. Ma alle origini, appunto, alla fine del XIX secolo, anche i partiti furono osteggiati, perseguiti, tollerati, prima di essere legittimati e integrati nella democrazia. E lo furono perché erano visti (come ricordava nel 1927 Heinrich Triepel, un importante costituzionalista tedesco), come elementi di divisione che rompevano l’armonia delle istituzioni dello stato liberale, socialmente omogenee e asseritamente aconflittuali.

Delle lobby invece la democrazia si deve occupare, come ricorda, per esempio, l’OCSE, che da anni richiama gli Stati ad affrontare la questione, mettendo in luce sia le opportunità che i rischi dell’attività dei gruppi di pressione (http://www.oecd. org/gov/ethics/lobbying.htm) e tracciando delle linee guida che anche l’Italia dovrebbe prendere in considerazione. Soprattutto in epoca di crisi profonda dei partiti, non si possono ignorare gli interessi e chi li rappresenta. La sfida, ancora una volta, è quella di regolare con equilibrio – senza nascondere la testa sotto la sabbia - fenomeni che comunque esistono e sono ineliminabili. Spetta a noi decidere se valorizzare quello che li rende vitali o abbandonarsi ipocritamente a ciò che li rende esiziali. Ed effettivamente - e finalmente - il tema sta emergendo anche in Italia. Dopo anni di tentativi e di demonizzazioni.

Continua a mancare una disciplina organica, ma qualcosa si muove. Nei mesi scorsi la Camera dei Deputati ha adottato un Registro dell’attività di rappresentanza degli interessi nelle sue sedi. Così hanno fatto alcuni Ministri per i propri dicasteri. È un passo dall’importante valore, innanzitutto, simbolico. Si sdogana il fenomeno e si afferma il valore della trasparenza. La polvere non è più tutta sotto il tappeto. E l’Italia si avvia sul sentiero di altre democrazie. Tanta strada dev’essere ancora fatta. Ma se penso a cos’era il dibattito pubblico quando una decina di anni fa nell’Università di Tor Vergata fondammo il master su “processi decisionali e lobbying in Italia e in Europa”, trovo motivi di ottimismo. Certo Einaudi c’era arrivato cento anni fa… Ma lui, appunto, era Einaudi.   

 

Giovanni Guzzetta, Professore di diritto costituzionale e Direttore del Master di secondo livello “Processi decisionali, lobbying e disciplina anticorruzione in Italia e in Europa


Ti è piaciuto l'articolo?
Autore: Giovanni Guzzetta

TAGS: Associazioni, lobby, rappresentanza, relazioni istituzionali

© 2024 - Assimpredil Ance - Credits - Privacy