Conquistare l'estero 2014 numero 40

Cambiare prospettiva

Dal Presidente

Sia in Italia che in Europa gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una pesantissima...

Cambiare prospettiva

Sia in Italia che in Europa gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una pesantissima crisi del settore delle costruzioni.

E’ dal 2008 che gli investimenti tra i Paesi dell’Unione Europea dei 15 continuano a contrarsi e le attese per i prossimi anni non vanno oltre una crescita irrisoria. In Italia il 2014 rappresenta il settimo anno di crisi e, dal 2008, il settore avrà perso il 31,7% degli investimenti, pari a circa 58.800 milioni di euro. Gli investimenti in costruzioni si collocano, nel 2014, su un livello particolarmente basso, pari addirittura a quello del 1967.

Eppure oggi a livello mondiale il settore delle costruzioni è tornato a contribuire alla formazione di ricchezza mondiale, considerando tutto l’indotto, esattamente come nel 2006, l’anno in cui lo sviluppo edilizio occidentale ha raggiunto il suo picco, prima dell’esplosione della bolla immobiliare.

Nonostante la crisi e l’inversione del ciclo edilizio in Occidente e le previsioni piuttosto modeste per i prossimi anni, la crescita degli investimenti a livello mondiale sarà garantita dallo sviluppo edilizio e infrastrutturale delle economie emergenti, trainato da sviluppo economico, incremento demografico, espansione del fenomeno di urbanizzazione, il che significa non solo infrastrutture, ma anche abitazioni e spazi produttivi.

Se nel 2000, circa l’80% degli investimenti in costruzioni si concentrava nei Paesi industrialmente avanzati, oggi circa la metà riguarda attività localizzata nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti, quota destinata ad aumentare ulteriormente.

E’ questo lo scenario con cui le imprese di costruzioni italiane dovranno confrontarsi per i prossimi anni.

Il Cresme rileva che la Cina oggi produce e consuma più della metà del cemento mondiale, in India gli investimenti in nuova edilizia non residenziale sono cresciuti sino a superare di oltre 6 volte il mercato italiano, l’Indonesia è entrata nei primi 15 mercati mondiali, l’Australia è il Paese che ha vissuto l’espansione edilizia più rapida negli ultimi 5 anni ( + 42% di investimenti dal 2008 ad oggi). Per non parlare poi dei mercati dell’America meridionale e dell’Africa, la quale sempre secondo il Cresme, nei prossimi 5 anni avrà tassi di crescita superiori a quelli asiatici.

E’ stata recentemente inaugurata alla Triennale di Milano la mostra “Africa, big Change Big Chance”, che racconta le grandi trasformazioni e le grandi possibilità del continente più vicino all’Italia. I numeri delle Nazioni Unite riportati sui pannelli infografici della mostra dicono che in Africa vive oltre 1 miliardo di persone, che diventeranno 2 miliardi nel 2050. In quasi 750 milioni vivranno in città, mentre gli europei saranno “solo” 685 milioni. Bastano questi pochi dati a rendere evidente l’enormità delle trasformazioni in essere e del prossimo futuro e la dimensione degli spazi di mercato che si aprono.

Di fronte a questo scenario ci sono imprese italiane di costruzione , poche numericamente e di grandi dimensioni, che operano nei mercati esteri: un recente rapporto di Ance dice che tra il 2004 e il 2013 le 38 imprese italiane che hanno partecipato alla ricerca (le più attive sui mercati internazionali) hanno più che triplicato (+ 206%) il fatturato prodotto all’estero, passando dai 3 miliardi del 2004 ai 9,5 del 2013.

Nel solo 2013, dopo 8 anni consecutivi di espansione, il valore della produzione oltreconfine dei contractor italiani è aumentata dell’8,6% rispetto all’anno precedente, a fronte di una stagnazione del giro d’affari nazionale e del persistere della recessione economica.

L’aumento del fatturato è stato accompagnato anche da una evoluzione e diversificazione del business: le infrastrutture a rete, che rimangono l’attività core delle imprese italiane, sono state affiancate, negli anni, da operazioni di sviluppo immobiliare nel settore abitativo, non residenziale, ricettivo e da complessi interventi nel campo ambientale (realizzazione di depuratori, gestione delle acque, impianti di smaltimento rifiuti).

Il portafoglio commesse nel 2013 si è arricchito di 319 nuovi lavori per complessivi 17 miliardi di euro (+44% del valore del 2012). Complessivamente, le imprese italiane sono impegnate nella realizzazione di 797 opere per un controvalore complessivo di oltre 90 miliardi di euro e un portafogli lavori di 40 miliardi di euro.

All’attività realizzativa è sempre più spesso associata quella gestionale, con importanti contratti di concessione, specie in settori strategici come quello delle autostrade, della sanità, delle generazione e distribuzione di energia e acqua, che molto spesso impegnano le imprese per anni, ma che garantiscono flussi di reddito importanti che abbattono i rischi di costruzione.

Il dinamismo imprenditoriale ha portato queste imprese italiane a selezionare i mercati esteri in cui operare: negli ultimi anni, infatti, si è registrato un riposizionamento del portafoglio commesse e si è puntato su mercati maggiormente stabili e meno esposti al rischio politico.

I contractor italiani si distinguono per una presenza stabile: le 38 imprese hanno segnalato la creazione o il controllo di oltre 250 imprese di diritto estero. Il know how e la solida credibilità acquisita sui mercati di tutto il mondo hanno permesso di stringere alleanze con i principali player internazionali del settore e le più importanti realtà finanziarie mondiali (fondi di investimento e banche d’investimento, organismi internazionali di sviluppo)

Certo, va riconosciuto che andare all’estero non è facile per la stragrande maggioranza delle imprese di costruzioni italiane, caratterizzate da una dimensione molto piccola, a carattere familiare e per cultura poco inclini a lavorare fuori dal proprio territorio di riferimento.

Ma a fronte della mutata situazione di mercato, non penso vi siano altre strade da percorrere se non quella di puntare sulla specializzazione, sull’investimento nella formazione di manager, sulla qualificazione della forza lavoro, sulla patrimonializzazione, sulle aggregazioni e reti d’impresa, sia verticali che orizzontali, per potersi collocare in modo competitivo sia sul mercato interno che su quello straniero.

Gli spazi di mercato all’estero non sono infatti necessariamente riservati a colossi multinazionali di settore, ma possono essere aggrediti anche da operatori piccoli e medi se attrezzati con risorse umane qualificate, soluzioni e tecnologie innovative, capacità imprenditoriali.

L’approccio al tema dell’internazionalizzazione appare ancora spesso confuso e sprovvisto di una chiara sequenza di passaggi operativi in grado di condurre al risultato.

Per consentire alle nostre imprese di approcciare questa importante fetta di mercato serve un progetto che consenta di:

-        aiutare le aziende a disporre di strumenti di formazione manageriale che facilitino il loro progressivo avvicinamento verso l’estero;

-        costruire un “brand” per l’edilizia italiana che metta in risalto l’eccellenza della nostra filiera produttiva.

Noi italiani per decenni siamo stati emigranti, è nel nostro DNA: direi che è giunto il momento, anche come costruttori, di ripartire.

Claudio De Albertis, Presidente Assimpredil Ance


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Autore: Claudio De Albertis

TAGS: estero, internazionalizzazione

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