Le analisi

Servono misure forti

L'edilizia che verrà 2020 numero 20

Agire subito, su 2 fronti

Servono misure forti

 

Quali saranno le conse­guenze economiche del Covid-19 nel nostro pa­ese? E cosa può fare la politica economica per arginare i danni? Quanto alla prima doman­da, c’è ancora troppa incertezza per dare risposte affidabili. All’ini­zio, quando il virus era confinato in Cina, si trattava prevalentemen­te di un’interruzione della catena globale di produzione, cioè di uno choc all’offerta. L’arrivo del virus in Italia ha aggiunto anche una com­ponente importante di caduta della domanda, che si aggraverà man mano che il contagio si esten­derà al resto d’Europa, come ormai appare inevitabile, e probabilmen­te anche agli Stati Uniti. Tuttavia, le conseguenze economiche del contagio dipenderanno soprattutto dalla sua durata, e questa è ancora molto incerta.

Se durerà a lungo, alla caduta della domanda reale si aggiunge­rebbero anche problemi di liquidità per le imprese più esposte, come era accaduto nel 2008-2009.

L’agenzia di rating italiana Cer­ved stima che il rischio di bancarot­ta delle imprese italiane potrebbe raddoppiare da una media annua­le del 4,9 per cento a oltre il 10 per cento se la diffusione del virus in Ita­lia dovesse durare tutto l’anno. (…)

Per quanto riguarda l’Italia, ormai siamo entrati in recessione, anche perché il quarto trimestre del 2019 era già stato in contrazione.

L’incognita è quanto lunga e pro­fonda sarà. Il centro studi Ref Ricer­che stima una minor crescita cumu­lata in un intervallo tra -1 e -3 per cento nei primi sei mesi del 2020; nella seconda metà dell’anno do­vrebbe esserci un rimbalzo, ma è difficile prevederne l’entità.

L’Italia è particolarmente esposta, non solo perché è al centro del con­tagio, ma anche perché ha pochis­simi margini di manovra.

La politica monetaria europea ha già i tassi sotto zero e non pare in­tenzionata a cercare nuovi strumen­ti di intervento: il nuovo presidente della Banca centrale europea ha detto che per ora non c’è nulla da fare. È un atteggiamento ben diver­so da quello delle altre banche cen­trali. In Giappone e in Inghilterra, le banche centrali hanno annunciato che sono pronte a intervenire anche coordinandosi con la politica fisca­le.

 

La Federal Reserve americana ha segnalato che taglierà i tassi di interesse ed è pronta a fare altro e un membro del Board della Fed, Lael Brainard, ha detto che anche gli Stati Uniti dovrebbero attuare un’espansione coordinata di poli­tica monetaria e fiscale se le cose dovessero peggiorare significativa­mente. Il rischio che la Bce a gui­da francese sia di nuovo in ritardo, come già era successo con la crisi del debito sovrano, non è affatto un rischio remoto. Quanto alla politica fiscale, prima ancora dei vincoli eu­ropei, siamo condizionati dall’alto debito pubblico. Lo spread ha ripre­so a salire, e come ben sappiamo questo si traduce rapidamente in una stretta creditizia sulle imprese.

 

Le giuste misure del governo

In questo quadro, il governo ha fatto bene a predisporre misure a sostegno di famiglie e imprese (…). Ma si può fare di più. Questo choc economico è chiaramente tem­poraneo, e probabilmente tra sei mesi saremo tornati verso la nor­malità. Ciò consente di sostenere la domanda e attenuare i proble­mi di liquidità di chi è più colpito, senza pregiudicare le tendenze di lungo periodo della finanza pub­blica.

Per evitare di far salire lo spread, però, i provvedimenti di sostegno alla domanda nel breve periodo devono essere accompa­gnati da misure di stabilizzazione del debito e rilancio della crescita, per ristabilire fiducia e credibilità.

Occorre agire subito su due fron­ti. Da un lato, possono essere utili altre misure celeri di sostegno alla domanda interna e che possano dare sollievo a chi avrà presto pro­blemi di liquidità. Per accorciare i tempi di attuazione, è meglio agi­re sul lato delle imposte perché gli investimenti pubblici arriverebbe­ro troppo tardi.

 

È inutile chiedere aumenti faraonici di investimenti pubblici se poi questi arrivano a emergenza finita. Invece, un cre­dito d’imposta consistente ma tem­poraneo sugli investimenti privati potrebbe indurre le imprese ad anticipare gli investimenti, e con­trastare l’effetto dell’incertezza che invece spingerebbe a rimandarli. Anche un abbattimento tempo­raneo dell’Iva potrebbe indurre i consumatori ad anticipare alcune spese di consumo. Per ridurre la stretta sulla liquidità delle imprese, la Pubblica amministrazione do­vrebbe fare il possibile per antici­pare i versamenti ai suoi creditori e dilazionare la raccolta di gettito.

 

È però altrettanto importante dare subito un segnale che siamo davvero intenzionati ad arrestare la crescita del debito pubblico e a rilanciare la crescita di lungo pe­riodo. Sul fronte della finanza pub­blica, la priorità sono le pensioni: occorre sostituire l’infausta quo­ta 100 con una riforma che, pur preservando margini di flessibilità sull’età di pensionamento, consen­ta di abbassare la spesa. Anche alcuni aspetti del reddito di cittadi­nanza andrebbero rivisti, alla luce dell’esperienza fatta finora.

 

La giungla dei crediti d’imposta andrebbe riordinata, nell’ambito di una riforma complessiva dell’impo­sta sui redditi. Nessuna di queste cose può essere fatta dall’oggi al domani. Ma il governo dovrebbe annunciare che intende mettere mano a queste riforme al più pre­sto, e sulle questioni più tecniche come la riforma fiscale e il reddi­to di cittadinanza, nominare delle commissioni di esperti che istrui­scano le decisioni politiche. È al­trettanto importante avviare nuove iniziative per rilanciare la crescita di lungo periodo. Molte di queste riforme avrebbero costo zero, per­ché riguardano aspetti di regola­mentazione: dal mercato del lavo­ro, dove bisognerebbe spostare la contrattazione più vicino al livello aziendale, all’attuazione di misure per favorire la concorrenza e age­volare la nascita di nuove imprese, alla sburocratizzazione dell’eco­nomia.

 

Anche qui i tempi di realizzazio­ne sono lunghi, ma alcuni segnali possono essere dati subito, e non solo per via legislativa ma anche nelle nomine che il governo si ac­cinge a fare. Ad esempio, sull’Au­torità garante della privacy, attual­mente in scadenza.

 

Nella nuova economia digitale, l’innovazione riguarderà soprattut­to l’analisi e l’uso di grande banche dati. Noi finora ci siamo preoccu­pati di questi aspetti per tutelare la privacy, con inutili procedure il cui costo ricade sui consumato­ri. Un segnale che invece d’ora in avanti si vuole facilitare l’analisi di grandi banche dati, da parte del­la Pubblica amministrazione (per combattere assenteismo ed evasio­ne fiscale), dei ricercatori e delle imprese, sarebbe un piccolo passo avanti verso la modernizzazione del paese.

 

Ormai sta diventando sempre più evidente che il paese è troppo fragile, e che la sua fragilità dipen­de dal cumularsi di problemi da tempo irrisolti. Dobbiamo affronta­re l’emergenza e sostenere la do­manda interna. Ma non possiamo permetterci di continuare a igno­rare l’insostenibilità crescente del nostro debito pubblico, l’allocazio­ne sbagliata della spesa pubblica, il progressivo declino economico.

Qualunque azione di breve pe­riodo deve essere accompagnata anche da provvedimenti e annunci che segnalino una svolta rispetto alla miopia del passato.

 

Guido Tabellini, Economista, Professore Università Bocconi di Milano

Aprile 2020


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Autore: Guido Tabellini

TAGS: coronavirus, costruzioni, covid-19, Economia, edilizia, pandemia

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