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La partita da giocare

Piena crisi? 2013 numero 37

Quando la crisi finanziaria irrompe sulla scena globale, nel 2008, trova in Italia un settore immobiliare apparentemente ...

La partita da giocare

Quando la crisi finanziaria irrompe sulla scena globale, nel 2008, trova in Italia un settore immobiliare apparentemente in buone condizioni di salute: nel corso del precedente decennio è cresciuto nei numeri (fatturato aggregato, numero di operatori, indotto economico), così come in termini d’incidenza sull’economia complessiva. Anche se alcuni tra gli attori più avveduti del sistema segnalano il persistere di pericolosi squilibri, soprattutto nel rapporto tra pubblico e privato, il clima che si respira tra gli operatori è di fiducia. Uno sguardo più attento rivela, in realtà, l’esistenza di numerosi problemi irrisolti, in parte legati alle caratteristiche del settore e dei suoi operatori, in parte connessi alla situazione strutturale del sistema-Paese e alle tante (troppe) riforme mai attuate. Mentre l’approfondirsi della crisi genera uno stato di emergenza del tutto inedito – a partire da una stretta creditizia senza precedenti, che frena ogni nuova iniziativa, associata alla crisi dei debiti sovrani che priva gli Stati delle risorse per attuare politiche economiche a sostegno dei comparti maggiormente in difficoltà – la cifra di ogni riflessione sul settore è l’allarme. L’edilizia si rivela chiaramente come uno dei settori più segnati da questa “strana” crisi, regalataci dalla creatività della turbo-finanza globale nella disattenzione generale di legislatori e regolatori internazionali. Anche se è difficile parlare di “quei” problemi oggi, quando gli effetti della crisi sono ancora forti, è forse venuto il tempo di aprire un nuovo capitolo di riflessioni, come settore, prendendo le mosse dai temi rimasti troppo a lungo sul tappeto, che avrebbero meritato nell’arco degli ultimi venti anni maggiore attenzione da parte di tutti.

Senza pretesa di esaustività, provo a elencarne alcuni, che rappresentano, al tempo stesso, testimonianza di un settore con significative criticità non rimosse e agenda programmatica per il suo rilancio.

Sul versante del sistema economico e istituzionale:

  • l’eccesso di burocrazia e l’assenza di un quadro normativo sufficientemente chiaro e stabile, a causa di un sistema di regole complesso, articolato ed opaco, spesso inutilmente differenziato su base locale;
  • la progressiva diminuzione delle risorse pubbliche destinate agli investimenti, in un quadro di incremento della spesa corrente;
  • l’assenza di chiari (e lungimiranti) indirizzi di politica industriale di settore, che ha generato nel tempo un sistema di micro-imprese poco specializzate, di dimensioni insufficienti per competere in modo efficiente sul mercato;
  • una concorrenza, soprattutto nel settore pubblico, basata essenzialmente sul prezzo, con eccessiva pressione sulla riduzione dei costi;
  • in parallelo, in ambito residenziale, l’eccessiva remunerazione di alcuni fattori della produzione (i terreni, in numerosi contesti) a scapito di altri;
  • la difficoltà dei sistemi territoriali locali nell’attuare vere politiche di competitività, laddove l’attrattività di un territorio è un fattore centrale per lo sviluppo del settore delle costruzioni;
  • la fragilità del sistema bancario, critica per un settore ad elevato assorbimento di capitale come quello delle costruzioni.

Sul versante imprenditoriale:

  • un significativo processo di esternalizzazione, con l’adozione generalizzata di modelli di fornitura terziarizzati che hanno impoverito il patrimonio di competenze detenuto dalle imprese di medie dimensioni. Questo sistema ha condotto a un utilizzo estremamente flessibile e conveniente di alcuni fattori produttivi (su tutti, il lavoro), ma ha generato la crescita di entità autonome (fornitori, contoterzisti,…) particolarmente competitive nel presidio di alcuni fasi del processo produttivo (fasi, in alcuni casi, caratterizzate da elevato valore aggiunto, come la progettazione, la promozione e la vendita);
  • la scarsa propensione all’internazionalizzazione da parte delle imprese del settore, quando, nel prossimo futuro, le migliori opportunità di crescita saranno all’estero;
  • l’insufficiente diffusione di know how progettuale, anche a causa delle ridotte dimensioni medie aziendali;
  • il livello relativamente contenuto di competenze manageriali diffuse, spesso a causa di un’eccessiva sovrapposizione tra proprietà e gestione delle imprese;
  • la relativa difficoltà per le imprese tradizionali a fronteggiare l’emergere di nuovi competitor dal mondo dei materiali e delle forniture, a causa di un’inadeguata preparazione nel gestire gli sviluppi tecnologici.

Misura sintetica del sommarsi di questi fattori di criticità è il complessivo calo di produttività fatto registrare dal settore, con una crescita dell’occupazione (+2,5% medio annuo nel decennio 1999-2009) largamente superiore a quella del valore aggiunto generato a prezzi costanti (+1% medio annuo nello stesso periodo).

In positivo, resta la considerazione che il mercato italiano non è ancora saturo, nonostante l’elevata percentuale di famiglie proprietarie; tuttavia, l’accesso al credito resta difficoltoso e la domanda abitativa da parte di famiglie che non sono nelle condizioni di accedere a un mutuo è in crescita.

Guardando avanti, ciò che appare ragionevole supporre è il passaggio da un modello di business “ciclico” ad uno “piatto”, in cui conteranno sempre più il presidio del segmento, la qualità del prodotto, l’efficienza produttiva, la gestione del cliente. Non una realtà nella quale – come in un passato che non esiste più – la fase espansiva del ciclo economico creerà benefici per tutti gli attori, a pioggia, ma un mondo in cui la partita si giocherà sempre più in termini di innovazione e differenziazione dell’offerta, dove solo alcuni – i migliori – potranno generare valore e prosperare. E in cui la capacità di intercettare i nuovi bisogni del cliente costituirà una competenza fondamentale.

Ciò non significa che anche il quadro di contesto non richieda azioni incisive, per ridefinire la qualità dell’ecosistema economico. Se si dovessero indicare delle linee guida sul versante dell’agenda di politica industriale, sarebbero – in estrema sintesi – le seguenti:

  • la definizione di standard minimi qualitativi, dal punto di vista sia del prodotto, sia della qualificazione degli operatori, così come di incentivi e regole per rispettarli;
  • l’attuazione di una politica di “selezione” guidata, al fine di salvaguardare e rafforzare le imprese caratterizzate da maggior potenziale competitivo;
  • l’introduzione di misure per favorire i processi di innovazione d’impresa (modelli, processi, prodotti), ai fini di perseguire nuove opportunità di business;
  • la semplificazione amministrativa, a tutti i livelli;
  • la certezza dei tempi di pagamento delle Pubbliche Amministrazioni;
  • l’individuazione di strumenti e modalità di finanziamento innovativi in grado di “far ripartire” il motore del sistema.

In termini relativi, tuttavia, conterà meno la qualità dell’ambiente di riferimento, pur determinante, a favore delle caratteristiche distintive di ciascuna impresa e la competizione si vincerà o perderà in misura crescente a livello degli indirizzi strategici e operativi dei singoli operatori.

A livello strategico, ciò richiede una seria riflessione su alcune dimensioni fondamentali della strategia d’impresa, a partire dai percorsi di crescita che si intendono attuare e dal grado di specializzazione che si vuole raggiungere.

Lo schema allegato – da noi sviluppato nel corso di un approfondito lavoro di riflessione strategica condotto con alcuni tra gli operatori del settore – mostra come la situazione più pericolosa per il settore e i suoi attori sia l’abbondare di micro imprese non specializzate e di medie imprese generaliste. La fotografia della realtà attuale.

Per questo, alle piccole realtà sarà richiesto nei prossimi anni di imboccare la via di una specializzazione sempre più forte e altamente qualificata, al servizio di grandi soggetti aggregatori di progetti complessi, dotati di spiccate qualità di project management, visione integrata della filiera e indirizzo strategico.

Alle realtà di medie dimensioni sarà sollecitato, coerentemente, il coraggio di abbracciare percorsi di crescita sfidanti, lungo tre possibili percorsi alternativi:

  • la creazione di “costellazioni del valore”, vale a dire insiemi di imprese integrate in logica di partnership, fungendo da soggetti in grado di selezionare, indirizzare e coordinare realtà di piccola dimensione specializzate;
  • l’aggregazione di soggetti di uguale rilievo dimensionale, in reti di medie imprese, per poter affrontare insieme le sfide dei mercati;
  • il progressivo sviluppo – per linee interne, ma non solo – di competenze manageriali, tecniche e industriali in grado di far compiere il salto qualitativo e quantitativo verso la grande dimensione d’impresa, competitiva sul mercato domestico, ma anche sui mercati in crescita a livello globale.

 

A tutti noi – imprenditori, professionisti e decisori pubblici – il compito di riprendere il filo dei ragionamenti di struttura per governare la transizione del sistema e delle imprese verso un quadro di generazione di valore e di sostenibilità di medio termine, nella consapevolezza che – una volta usciti dall’emergenza – la partita sarà ancora tutta da giocare.

Alessandro De Biasio - Partner, The European House-Ambrosetti


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Autore: Alessandro De Biasio

TAGS: Burocrazia, Crisi, Economia, Sistema fiscale, Tasse

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