Le analisi

La disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso nel PGT

Costruire senza consumo 2012 numero 33

Preliminarmente all’esame delle disposizioni sul mutamento di destinazione d’uso previste dal PGT, si rende necessario...

La disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso nel PGT

Preliminarmente all’esame delle disposizioni sul mutamento di destinazione d’uso previste dal PGT, si rende necessario fornire una definizione della stessa nozione.

Di ausilio è la LR n. 12/2005 che, all’art. 51, afferma “Costituisce destinazione d’uso di un’area o di un edificio la funzione o il complesso di funzioni ammesse dagli strumenti di pianificazione per l’area o per l’edificio, ivi comprese, per i soli edifici, quelle compatibili con la destinazione principale derivante da provvedimenti definitivi di condono edilizio”, definendo come principale “la destinazione d’uso qualificante” e come “complementare od accessoria o compatibile” “qualsiasi ulteriore destinazione d’uso che integri o renda possibile la destinazione d’uso principale o sia prevista dallo strumento urbanistico generale a titolo di pertinenza o custodia”. La stessa LR n. 12/2005, inoltre, nel dettare la disciplina in materia (artt. 51 e ss.), enuclea dei principi fondamentali, quali quello dell’indifferenza funzionale (“Le destinazioni principali, complementari, accessorie o compatibili, come sopra definite, possono coesistere senza limitazioni percentuali ed é sempre ammesso il passaggio dall’una all’altra, nel rispetto del presente articolo”), cardine anche di alcuni strumenti urbanistici (quali il PGT del Comune di Milano). Detto principio deve però necessariamente essere applicato in combinato disposto con le previsioni dei PGT, come lo stesso art. 51, comma 1, LR n. 12 ha cura di precisare. Prima di esaminare le previsioni del PGT di Milano, va ricordato che nella categoria dei mutamenti di destinazione d’uso si distingue tra _ i mutamenti connessi alla realizzazione di opere edilizie (art. 52, comma 1, LR cit.) e _ quelli non comportanti la realizzazione di opere (art. 52, comma 2, LR cit.). Con riguardo a questi ultimi, sul piano procedurale, la legge regionale si ispira al principio della c.d. liberalizzazione dei cambi di destinazione d’uso, ritenendo sufficiente una mera “preventiva comunicazione dell’interessato al Comune” (art. 52, comma 2). Viene pertanto eliminata la fase del preventivo esame da parte dell’amministrazione in ordine ai requisiti legittimanti il mutamento di destinazione d’uso.

In tal senso si veda TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 10 giugno 2010 n. 1787: “la l.r. 1/2001 [oggi trasfusa negli artt. 51 e 52 l.r. 12/05] ha introdotto una nuova disciplina dei titoli abilitativi cui è subordinato l’esercizio dell’attività edilizia riconoscendo ampia efficacia alle autonome dichiarazioni del privato, nell’ottica della semplificazione dei rapporti tra cittadino ed autorità amministrativa”.
Ulteriore distinzione va effettuata tra mutamenti di destinazione d’uso onerosi e mutamenti di destinazione d’uso non onerosi.

Va precisato che il mutamento “oneroso” prescinde dalla realizzazione di opere, essendo correlato al cambiamento di classe urbanistica e obbliga l’interessato a corrispondere maggiori oneri. Occorre infine distinguere tra ipotesi di mutamento di destinazione d’uso che obbligano colui che le effettua al recupero delle dotazioni urbanistiche (i cd. standards) (art. 51, commi 4-5, LR cit., disciplinanti i mutamenti con opere) da quelle per le quali tale obbligo non sussiste. In particolare, il legislatore regionale affida al PGT la determinazione dei casi nei quali i mutamenti di destinazione d’uso con opere comportino un aumento o una variazione del fabbisogno di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale (art. 51, comma 2).

Al riguardo, l’insegnamento giurisprudenziale impone un accertamento in concreto dell’aggravio del carico urbanistico derivante dalla nuova destinazione, prescindendo dal mero dato letterale, ovvero dalla circostanza che il mutamento sia avvenuto con o senza la realizzazione di opere. Si veda, a tal proposito, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 10 giugno 2010 n. 1787, secondo il quale i mutamenti di destinazione d’uso senza opere non incidono “sulle regole sostanziali che esigono il concorso [dell’interessato] al maggiore carico urbanistico determinato dal mutamento di destinazione d’uso funzionale o strutturale del suo edificio”.

La necessità del recupero di dotazioni urbanizzative va correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 14 novembre 2007 n. 11213).

Possiamo adesso concentrare l’attenzione sulle previsioni del PGT, e più propriamente sul Piano delle Regole (PdR), del Comune di Milano. Il PdR disciplina i mutamenti di destinazione d’uso agli artt. 5, 6 e 11. Anche qui, come nella LR n. 12/2005, viene enunciato il principio di indifferenza funzionale: “Nel TUC le destinazioni funzionali sono liberamente insediabili, senza alcuna esclusione e senza una distinzione e un rapporto percentuale predefinito” (art. 5, comma 1, PdR), sebbene con limitazioni in ordine ai mutamenti di destinazione d’uso con opere edilizie (art. cit., comma 4). Anche nel PGT vi è la distinzione tra mutamenti di destinazione d’uso con opere edilizie (art. 5, commi 3-4) e mutamenti di destinazione d’uso senza opere edilizie (art. 5, comma 2, artt. 6-11). Di questi ultimi si parlerà in seguito.

Quanto alle prime, si evidenzia come esse, pur aderendo al principio di indifferenza funzionale, sotto il profilo della collocazione nel TUC pongano limitazioni di tipo quantitativo collegate alle rispettive funzioni di provenienza (art. 5, comma 3).Nell’ambito di mutamento di destinazione d’uso di un immobile con opere edilizie, occorre invero distinguere tra le ipotesi di mutamento di destinazione d’uso da funzioni urbane produttive verso altre funzioni urbane (art. 5, comma 4, lett. a1) e le ipotesi di mutamento di destinazione d’uso da funzioni urbane terziarie, commerciali verso funzioni residenziali e viceversa (art. 5, comma 4, lett.b).Quanto alla prima ipotesi (mutamento da funzioni produttive verso altre funzioni urbane), essa consente il recupero della S.l.p. esistente fino al raggiungimento di un indice Ut di 0,65 mq/mq, incrementabile fino a un massimo di 1 mq/mq.

Un’eccezione è fatta per gli interventi su aree inferiori ai 5.000 mq, ove è consentito il recupero integrale della S.l.p. esistente(art. 5, comma 4, lett. a2);L’attuazione di detti mutamenti d’uso da funzioni urbane produttive verso altre funzioni trova fonte nell’art. 11,il quale prevede tre diversi casi, a seconda di soglie dimensionali riferite alla superficie dell’areadi intervento. Per aree di intervento con superficie inferiore a 5.000 mq l’attuazione del piano avviene con:
- modalità diretta non convenzionata fino al raggiungimento dell’indice di Utilizzazione territoriale unico;
- modalità diretta convenzionata qualora si utilizzino, in alternativa o in forma composta mediante trasferimento: diritti edificatori perequati, benefici volumetrici, quote di edilizia residenziale sociale.
- modalità diretta convenzionata per tutti gli interventi che superano l’indice fondiario (If) di 7 mc/mq;
- modalità diretta convenzionata nei Nuclei di Antica Formazione (NAF) (art. 11, comma 3.1).

Per quanto invece riguarda le aree di intervento con superficie compresa tra 5.000 mq e 15.000 mq l’attuazione avviene con:- modalità diretta convenzionata, con l’obbligo di utilizzo di una quota minima di 0,35 mq/mq aggiuntiva rispetto all’indice di Utilizzazione territoriale unico, in alternativa o in forma composta di: diritti edificatori perequati, benefici volumetrici, quote di edilizia residenziale sociale.

Nel caso di aree di intervento con superficie superiore a 10.000 mq, l’utilizzo della suddetta quota di 0,35 mq/mq è obbligatoria per la realizzazione di edilizia residenziale sociale.
Infine, su aree di intervento con superficie maggiore a 15.000 mq, l’attuazione avviene mediante piani attuativi di iniziativa sia pubblica sia privata o mista, con l’obbligo della realizzazione della quota di edilizia residenziale sociale di 0,35 mq/mq.

Per quanto poi concerne le ipotesi di mutamento da funzioni urbane terziarie, commerciali e servizi privati a funzioni urbane residenziali e viceversa, la regola generale è rappresentata dal recupero della S.l.p. esistente anche in eccedenza all’indice di Utilizzazione territoriale massimo di 1 mq/mq, salvo alcune limitazioni quantitative collegate al tessuto territoriale (art. 5, comma 4, lett. b).In particolare, per gli immobili che interessano una S.l.p. superiore a 5000 mq, il predetto mutamento di destinazione d’uso comporta la realizzazione di una quota non inferiore al 35% della S.l.p. interessata dal cambio d’uso per interventi di edilizia residenziale sociale ad eccezione:
- degli interventi ricadenti nei Nuclei di Antica Formazione (NAF);
- degli interventi ricadenti negli Ambiti contraddistinti da un Disegno urbanistico Riconoscibile (ADR) (art. 11, comma 4).
Quanto alle modalità di attuazione dei mutamenti di destinazione d’uso da funzioni urbane terziarie, commerciali e servizi privati a funzioni urbane residenziali e viceversa, la relativa norma (art. 5, comma 4, lett. b) rimanda all’art. 11, comma 3, disciplinante l’attuazione degli “interventi di ristrutturazione edilizia o urbanistica che comportino entrambi cambio di destinazione d’uso da funzioni urbane produttive verso altre funzioni urbane”.

La tecnica del rinvio , impone di domandarsi se tale richiamo sia, al di là del nomen usato per delineare l’ambito applicativo dello stesso articolo, alle norme procedurali-attuative del piano, ovvero se ci troviamo di fronte ad una “svista” compilativa.

Sul punto, come su altri profili di cui si dirà in seguito, bisognerà attendere gli indirizzi che sono stati preannunciati da parte dell’amministrazione.
Per quanto concerne infine i mutamenti di destinazione d’uso senza opere edilizie, la relativa disposizione ne ammette la generale ammissibilità, pur soggiungendo “nel rispetto di quanto disciplinato dai successivi artt. 6 e 11” (art. 5, comma 2).Ebbene è proprio il richiamo all’art. 6 summenzionato che desta difficoltà interpretative, allorché il medesimo articolo, richiama i casi disciplinati dall’art. 5, comma 4, lett. a1, il quale a sua volta disciplina il mutamento di destinazione d’uso con opere edilizie nei casi in cui la funzione originaria sia produttiva.

Come dire: il mutamento di destinazione d’uso senza opere edilizie è ammesso, ma incorre in tutte le limitazioni previste per il mutamento di destinazione d’uso con opere edilizie.
Resta a tal punto da capire se tale richiamo sia attuabile, in considerazione della diversità ontologica – ancorché giuridica – tra le due fattispecie, oppure se debba intendersi quale richiamo recettizio.

In quest’ultimo caso le limitazioni previste per i mutamenti di destinazione d’uso con opere si applicherebbero anche ai mutamenti di destinazione d’uso senza opere nell’ipotesi di funzioni originariamente produttive, comportando non poche difficoltà pratiche, in prima battuta quella del destino della S.l.p. eccedente i limiti previsti per il mutamento di destinazione d’uso con opere (ovvero l’indice Ut 0,65 mq/mq, incrementabile fino a 1 mq/mq).

Nel caso appena prospettato, si possono ipotizzare due soluzioni: una, più radicale, è quella della distruzione della S.l.p. in eccedenza, con ciò comportando, di fatto, la necessità di eseguire un mutamento   destinazione d’uso con opere; l’altra, più conservativa, è quella di applicare un limite quantitativo al mutamento di destinazione d’uso, sino alle quantità ammesse dal PdR di cui si è detto (0,65 mq/mq, elevabili ad 1 mq/mq con ricorso agli strumenti perequativi, incentivanti ecc.) e con obbligo di mantenimento della funzione produttiva originaria per le S.l.p. eccedenti. Si confida pertanto, anche per tale ultimo profilo critico, che si giunga al più presto ai chiarimenti necessari ad attribuire quella certezza giuridica dalla quale il nostro ordinamento trae la propria legittimità oltre che il suo stesso fondamento.


Guido Bardelli - avvocato Amministrativisti Associati Foto di Jacopo Emiliani

Foto di Jacopo Emiliani - intervento di CLS Architetti: cambio d'uso da sala bingo a scuola materna in Zona P.ta Genova a Milano.


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Autore: Guido Bardelli

TAGS: destinazione d'uso, PGT, urbanistica

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