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Alternative?

Conquistare l'estero 2014 numero 40

Questo è il quadro certo che persisterà nei prossimi anni: crescita modesta nei paesi...

Alternative?

Questo è il quadro certo che persisterà nei prossimi anni: crescita modesta nei paesi occidentali e crescita degli investimenti mondiali garantita dalle economie emergenti il cui sviluppo economico ed incremento demografico farà da volano allo sviluppo edilizio. Per questo motivo dire che la crisi del ciclo edilizio nel nostro paese è finita non è irragionevole, significa piuttosto dare corpo ad una visione realistica del qui, ora: uno stato dell’arte che perdurerà per diversi anni.

In questo contesto, nel nostro paese, le possibilità di azione sono ridotte, di nicchia, specialistiche. Rigenerazione urbana, sostituzione edilizia, costruzione sul costruito in mezzo a farraginosità in termini di norme edilizie destinate a morte sicura, ma forse ancora lenta. Chi opera in Italia deve sapere che non si tornerà mai più allo stato del pre crisi; bisogna perciò attrezzarsi.

Mentre si sono ristretti i margini di azione e modificato il contesto incredibilmente quello che non è avvenuto è il nostro cambiamento quali attori in uno scenario trasformato, imprese o professionisti del settore che siamo. Nella maggior parte dei casi facciamo fatica a trasformarci attaccandoci a modalità organizzative e di management ormai stanche. Il mercato non c’è ? Eppure persistiamo nel cercare lavoro qui. Il management non produce le intuizioni necessarie? Non si pensa come rinnovarlo, o stimolarne i processi decisionali con il sostegno di stakeholder o processi formativi qualificanti e differenziati: si assume come dato. I dipendenti sono un lusso? Non si ipotizza il loro coinvolgimento nello sforzo di rielaborazione in quanto capitale umano che ha accumulato esperienza e visione sull’assetto generale diverso dal nostro.

L’osmosi produttiva tra il nostro paese e gli altri è inoltre molto singolare. Secondo il ministero del welfare britannico, nel 2013 44mila italiani hanno richiesto il national insurance number per poter lavorare nel Regno Unito con un aumento del 66% rispetto all’anno precedente: si tratta per lo più di giovani. Il  numero di italiani all’estero sta crescendo, siamo un esportatore di talenti che trovano spesso posizioni di rilievo nell’imprenditoria straniera; nel contempo siamo incapaci di attrarre persone qualificate. La percentuale di persone con istruzione terziaria tra gli stranieri che provengono in Italia (12,2%) è tra le più basse nei paesi OCSE, molto di sotto la media generale (23,2%) e di quella dei paesi dell’Europa (18,6%) ed il primo settore di attività in cui si riversano è ovviamente l’edilizia. Lavoratori che si collocano soprattutto in molte regioni del Centro e del Nord, favoriti dal tradizionale “nanismo” del tessuto imprenditoriale italiano che tutto tollera: oltre la metà delle imprese registrate negli elenchi camerali sono infatti ditte individuali.

L’emigrazione di imprese italiane all’estero è tutt’altra cosa: ridotta a casi di grande eccellenza, in crescita ma non abbastanza. Il saldo di questi due flussi i entrata ed in uscita produce perciò ricadute complesse su chi rimane.

Se cercare un mercato migliore di questo può salvaguardarci, e noi siamo certi lo sia, gli spunti contenuti in questo numero, espliciti o tra le righe sono molti. Ci piace ricordarne due, ancora in essere. Il primo: a fianco delle molte missioni organizzate da enti ed istituzioni autorevoli esistono delle considerazioni a livello Europeo.

La Commissione Europea, nel Piano d’Azione Imprenditorialità 2020, ha attribuito agli imprenditori migranti un ruolo importante per il rilancio dell’Unione sottolineando, per la prima volta, l’importanza del loro contributo all’imprenditorialità. Secondo una recente indagine del Cnel, il 16% delle imprese immigrate in Italia intrattiene contatti con i Paesi di origine degli imprenditori coinvolti. Queste potenzialità ci vengono portate qui, per via delle n imprese edili straniere a cui manca know how e management forse utili nei loro paesi: potrebbero essere il nostro cavallo di Troia per raggiungerei mercati della loro terra d’origine?

La seconda: esportiamo l’Italia. Qualche impresa ci insegna che si può. L’Italia è il nostro brand, lo sono i luoghi in cui viviamo a partire dalla casa. Basta nanismo spesso generato da ataviche strutture di impresa familiare: organizziamoci in società integrate tra costruttori, produttori, progettisti per un prodotto che rappresenti tutto il bello del nostro vivere. Dal cantiere efficiente, all’intonaco di ultima generazione al progetto degli alloggi agli arredi, le finiture, i tessuti, al caffè pronto per i nostri acquirenti. Filiere chiavi in mano che si presentino con un’organizzazione perfetta sui mercati di conquista. Il genio non ci manca. Organizziamolo per evolvere.

Cecilia Bolognesi, Direttore Dedalo


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Autore: Cecilia Bolognesi

TAGS: estero, internazionalizzazione

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