All'Italia serve una legge che regoli le relazioni istituzionali
Il mito della legge come espressione dell’interesse generale resiste nel tempo (e deve resistere) ma è sottoposto a severa critica nel mondo contemporaneo. In epoca di post - democrazia (dal titolo del bel libro di Robert Alan Dahl), nel tempo in cui torna quanto mai attuale il dilemma sui governi, già posto da Einaudi nel suo scritto Maior pars o melior pars?, nell’età della “democrazia partecipativa” in cui molti rivendicano uno spazio nel confronto con i poteri pubblici ma pochi vanno a votare , il tema della rappresentanza degli interessi economici finisce per prevalere su quello della rappresentanza delle persone, non più ordinate secondo le classi sociali del secolo scorso. Gli stessi conflitti sociali sono più articolati: tra i generi, tra giovani e anziani, tra cittadini e immigrati.
L’insieme di questi fattori induce trasparenza nell’attività di rappresentanza degli interessi economici, nell’amministrazione e nella legislazione. Nell’amministrazione, il processo è da tempo noto anche se in Italia poco frequentato. Se in altri paesi conoscono gli istituti della public inquiry o dell’examination in public (nel Regno Unito), dell’enquête publique (in Francia), dell’encuesta previa (in Spagna), in Italia l’“udienza pubblica”, come sede di ordinata rappresentazione degli interessi dinanzi a una rilevante scelta amministrativa, è ancora un’ Araba fenice. Siamo fermi alle “osservazioni e memorie” già previste dalla legge del 1942 per l’urbanistica e ai progressi realizzati con la legge 241 del 1990 che è sicuramente migliore dell’uso che se ne fa. Solo nel 2016 il nuovo codice degli appalti è tornato a disciplinare il “dibattito pubblico”.
La nostra opinione è che gli spazi di rappresentanza degli interessi nella democrazia amministrativa siano in realtà poco sfruttati. Si preferiscono altre vie: quella della protesta politica o quella dell’intesa pubblico privato, talvolta in modo virtuoso nel nome della sussidiarietà, altre volte in modo poco trasparente o anche illegittimo. Il procedimento amministrativo, che è una delle grandi conquiste dei giuristi del secolo scorso per la mediazione sociale, fondato sulla “ponderazione degli interessi, l’un con l’altro e l’un contro l’altro”, alla ricerca dell’interesse pubblico generale, è oggi svalutato dai ritmi più aggressivi degli interessi costituiti, indocili alle forme di mediazione e all’ordine burocratico o democratico.
Queste riflessioni sul versante della scena amministrativa sono utili per affermare due concetti solo in apparenza contraddittori: a) è tempo che la rappresentanza di interessi economici sia disciplinata in modo trasparente anche nel superiore ramo dell’attività legislativa; b) non può bastare il vessillo della legge sulle lobbies per risolvere i problemi sottostanti di “contesto” e di cultura.
In parlamento le proposte di legge per la disciplina dell’“attività di relazione istituzionale”si susseguono dalla XIII legislatura mentre diverse regioni hanno provveduto in proprio (legge regione Toscana 18 gennaio 2002, n.5; legge regione Molise 22 ottobre 2004, n.24; legge regione Abruzzo 22 dicembre 2010, n.61, legge regione Calabria 12 febbraio 2016 n.4). Gli ordinamenti giuridici stranieri che prevedono una regolamentazione giuridica delle lobbies si ispirano al modello degli Stati Uniti o a quello dell’Unione europea. In America vige una disciplina specifica nata dall’esigenza di combattere le degenerazioni di un sistema di pressione occulta sul Congresso.
Prima una legge del 1946, poi il Lobbying Disclosure Act del 1995, hanno definito una regolamentazione basata sulla trasparenza e la pubblicità dell’attività di relazione istituzionale. Il modello Bruxelles è basato sull’adesione volontaria a codici deontologici di condotta da parte dei funzionari, dei politici e dei rappresentanti di interessi. Esiste un pubblico registro rivolto agli organismi che esercitano attività di rappresentanza di interessi, ossia attività svolte al fine di influenzare l’elaborazione delle politiche e il processo decisionale delle istituzioni europee. L’iscrizione al registro è volontaria, a conferma del modello di autoregolamentazione scelto dall’Unione europea.
Fra i grandi Paesi europei solo la Germania ha adottato il modello statunitense di regolamentazione per legge, negli altri o è assente una disciplina specifica, o, come nel Regno Unito, la materia è demandata a forme di autoregolazione sul modello di Bruxelles. In Italia, già nella relazione conclusiva del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali istituito all’inizio della legislatura dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si propose una disciplina delle lobbies fondata su tre punti: istituzione presso le Camere e le Assemblee regionali di un albo dei portatori di interessi; diritto dei portatori di interessi a essere ascoltati nell’istruttoria legislativa relativa a provvedimenti che incidono su interessi da loro rappresentati; esplicitazione nella relazione al provvedimento delle motivazioni del legislatore, evitando ogni situazione di potenziale o attuale conflitto di interessi. Legata alla disciplina delle lobbies, era suggerita anche l’istituzione di giunte per la deontologia parlamentare presso ciascun ramo del Parlamento.
La Commissione affari costituzionali della Camera ha adottato l’8 aprile 2015 un testo base che:
− definisce alcuni principi generali dell’attività di rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici quali quelli di pubblicità, trasparenza, partecipazione democratica e conoscibilità dei processi decisionali, anche per garantire una più ampia base informativa su cui i decisori pubblici possono fondare le proprie scelte;
− istituisce presso il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio il Comitato per il monitoraggio della rappresentanza degli interessi e il Registro pubblico dei rappresentanti di interessi, e ne disciplina le modalità di funzionamento;
− prevede l’obbligo di adozione da parte dei rappresentanti di interessi di un codice di condotta e di un regolamento interno, depositati presso il Comitato, che ne valuta l’idoneità;
− istituisce presso il Comitato un’apposita banca dati accessibile ai soli iscritti al registro in cui sono indicati gli schemi di provvedimenti normativi in corso di predisposizione da parte dei decisori pubblici, corredati da ulteriori elementi di informazione, quali le finalità del provvedimento e i contenuti di massima dello stesso, i tempi presumibili per l’avvio dell’iter approvativo, gli sviluppi nel tempo del provvedimento;
− definisce i requisiti per l’iscrizione al registro, i diritti degli iscritti al Registro (tra cui il diritto di accesso alla banca dati) e l’obbligo di predisporre una relazione periodica sulle attività svolte, indicando in dettaglio i decisori contattati e i risultati attesi o ottenuti;
− prevede l’obbligo per i decisori pubblici di rendere nota l’attività di rappresentanza degli interessi, facendone menzione nella relazione illustrativa o nel preambolo degli atti normativi e degli atti amministrativi, di riferire al Comitato ogni violazione della legge o del codice di condotta e di comunicare al comitato la propria situazione amministrativa;
− dispone una serie di incompatibilità tra l’attività di rappresentanza di interessi, tra cui quella con la professione di giornalista e con gli incarichi di amministrazione e direzione di società a partecipazione pubblica totale o di controllo.
Il progetto di legge esclude dalla nuova disciplina l’azione svolta dagli enti pubblici, anche territoriali, e dai partiti politici, nonché da quella svolta, nell’ambito dei processi di concertazione, dalle rappresentanze sindacali o imprenditoriali (art. 12).
La violazione degli obblighi previsti dal codice di condotta e il mancato deposito della relazione sono sanzionati con la censura o la sospensione o con la cancellazione dal registro, mentre lo svolgimento di attività di lobbying in assenza di iscrizione nel registro, è punito con una sanzione da 20.000 a 200.000 euro (art. 13).
La proposta di legge è ora all’esame del Senato, molti punti dovrebbero essere meglio precisati ma sarà tema della prossima legislatura. Con la demagogia avremo una legge inutile per la democrazia, figlia della “cultura del sospetto” nei confronti della corretta rappresentazione degli interessi. Non resta che augurarsi uno scenario aperto alle riforme.
Pierluigi Mantini, Avvocato, Professore di Diritto Amministrativo e di Diritto Urbanistico nel Politecnico di Milano - Vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa
Novembre 2017