L'edilizia che verrà 2020 numero 20
Meno frenesia, più tecnologia
Se possiamo trarre un insegnamento da quello che sta succedendo, dobbiamo necessariamente prendere atto che, pur con tutte le migliori intelligenze, applicazioni, tecnologie e saperi, l’umanità è debole. Così debole che un piccolissimo soggetto semisconosciuto, il signor Coronavirus – Covid- 19 (o come lo si voglia chiamare), invisibile killer contemporaneo grande quanto una cellula, è in grado di piegare superpotenze industriali ed economiche, imballare l’economia del mondo, mettere a rischio la nostra specie e costringerci nelle nostre case a pensare a come garantire il nostro presente o a come organizzare il nostro futuro.
Si, siamo concentrati nel cercare di portare a casa la pelle oggi, sani e integri, ed essere consapevoli che, anche se mai sconfitto, questo malanno ci farà comportare tutti in modo diverso. Nulla sarà mai come prima. La nostra abitudine di ragionare per fasi, pertanto, ci sta facendo muovere ragionamenti contingenti, essendo peraltro oggi tutti noi vittime di una evoluzione non prevedibile e mai immaginata prima d’ora. E meno male che, per lo meno, abbiamo internet che funziona con la comunicazione che sta reggendo la pressione e lo straordinario utilizzo, consentendo lo scambio quotidiano di informazioni, di dati, di soluzioni. Nelle costruzioni si pensava di conoscere molto e la digitalizzazione del nostro mondo aveva evidentemente, fino a ieri, una sua strada abbastanza tracciata. Una sorta di attualizzazione tecnologica di un processo industriale abbastanza tradizionale, alla quale riferire ogni nostro sforzo, ogni nostra energia, per essere protagonisti del domani. Ma il processo produttivo, che mai ha potuto essere un processo da svolgersi mediante lavoro agile, non si è mai trovato a fare i conti con una emergenza di questa natura, nella quale il distanziamento sociale ha reso, rende e renderà in futuro più complessa ogni possibile produzione.
Fino a ieri le Costruzioni sono state infatti una rete molto ampia di persone che, attraverso relazioni interpersonali dirette, realizzavano commesse mettendo in contatto progettisti con alte professionalità, architetti, ingegneri, geometri, periti, impiegati amministrativi, contabili, capi area, capi commessa, capi squadra, muratori, carpentieri, manovali. Ogni persona aveva la sua importanza e il suo ruolo e la più importante tra le figure professionali non poteva fare a meno dell’ultimo dei manovali. Così, nelle relazioni dirette, e non in lavoro agile, si realizzavano opere, che resistevano al tempo e davano valore e servizi. Il compito di noi Imprenditori delle Costruzioni era, è e sarà organizzare tutto questo in condizioni di massima sicurezza per la tutela e la salute delle persone che lavorano, che sono il primo vero e inalienabile patrimonio delle aziende, prima ancora delle ragioni economiche che muovono l’attività di impresa. Questo assai sintetico quadro che riassume il rigore e la responsabilità di una attività come la nostra e la sua organizzazione è apparso subito assai poco compatibile con le indicazioni del DPCM dello scorso 8 marzo, la cui parola d’ordine è stata #iorestoacasa. Il flagello che subiamo tutti con questa pandemia ha fatto passare in secondo piano il fatturato, le ragioni del profitto, l’organizzazione. Operai, impiegati, collaboratori, hanno paura.
Era, è e sarà responsabilità dell’Imprenditore delle Costruzioni tutelare la salute dell’intera rete che ha queste relazioni e di limitare, concordemente a quanto disposto dalle autorità, gli spostamenti di persone mezzi e merci e dare un segnale responsabile di tutela della salute pubblica a partire da quanto noi si possa fare per questo obiettivo. Qualcuno ha scritto giustamente che le costruzioni hanno da sempre fame di commesse, ed è vero, ma non ad ogni costo. Esiste il limite non valicabile della tutela della salute pubblica, di quella dei nostri lavoratori e collaboratori, e quella non può essere sacrificata alla mancanza di presa di responsabilità rispetto a questo evento epocale che inesorabile si diffonde, seminando paura, insicurezza e morte. Gli Imprenditori delle Costruzioni, cioè noi, titolari di imprese grandi e piccole, ci siamo presi le nostre responsabilità, pur consapevoli dei danni economici che ci deriveranno, sacrificandoli volentieri rispetto a dover sacrificare il nostro personale e i nostri operai. Ora dobbiamo necessariamente concentrare gli sforzi sulle soluzioni possibili, sul futuro, cercando di immaginare che lo scenario al quale ci dovremo riferire, sarà per forza completamente nuovo rispetto a quello che conosciamo. Non vogliamo qui fare la litania delle doglianze e delle necessità di settore più volte già ripetute da leader associativi più o meno rappresentativi: maggiore liquidità, ammortizzatori sociali, politiche di rilancio, deregulation e assunzione di responsabilità. Tutte cose legittime, tutte istanze condivisibili, e certamente le associazioni hanno il dovere di spronare le autorità su una cura shock, una “cura da cavallo” per una situazione straordinaria che non abbiamo mai provato o misurato fino a ieri.
Poi, però, dovremmo fare un po’ i conti con noi stessi. Con le regole di ingaggio della programmazione produttiva in rapporto alla sicurezza, per esempio. Con la protezione di tecnici e maestranze in cantiere, con le modalità di trasporto, consegna, movimenti di mezzi, prodotti, attrezzature e persone e il loro modo di raggiungere i luoghi della produzione, ossia i nostri cantieri. Con la disponibilità “agile” (per dirla con un termine molto di moda oggi) di dispositivi di protezione individuale (mascherine, gel, guanti, tute, ecc.) adeguati al nuovo standard di sicurezza rispetto ai quantitativi necessari che certamente questa pandemia ci restituirà. Apriamo gli occhi: oggi gli eroi della sanità, coloro che ricorderemo per sempre protagonisti della battaglia e fautori della salvezza della nostra epoca, fanno fatica a dotarsi di quanto loro serva per la tutela della salute. Pensiamo come potremo ingaggiare il nuovo mercato e le nuove regole di sicurezza con le quali avremo a che fare (milioni di maestranze in tutti i settori, da dover proteggere per un periodo imprecisato, o forse a regime).
Molti processi saranno volutamente ridotti e semplificati, certamente sarà necessario dotarci di connessioni sempre più dinamiche e funzionanti che rendano possibile l’incontro a distanza (oggi di fatto tutto lo scambio relazionale si sta realizzando in questo modo), mediante utilizzo della tecnologia come facilitatore di processi, procedure, confronti e relazioni. Connessioni più agevoli ovunque con smartphones, tablets e pc portatili in ufficio, in cantiere, nei viaggi, a casa, ecc.
Inoltre alcune novità stanno permeando oggi l’attività quotidiana, in misura crescente, obbligata, ma direi dirompente. Tutti siamo connessi e spesso ci sentiamo dire, paradossalmente, che lavoriamo molto di più con questa modalità rispetto all’impegno dell’ufficio. Certo, non per tutti è così. Ma molte persone sono coinvolte in questo nuovo e coattivo sistema di relazione, piaccia o non piaccia, e occorre osservare che a molti questa nuova modalità sta piacendo. Si guadagna tempo, si riduce la mobilità, l’inquinamento, si è a casa propria e si possono apprezzare o coltivare alcune cose che il frenetico modello relazionale precedente aveva totalmente azzerato. In questo stanno alcune delle novità a mio modo di vedere sostanziali che tracceranno nuovi modelli organizzativi delle aziende del futuro. Alcune delle modalità utilizzate oggi dalle aziende per continuare ad affrontare la situazione pandemica in correlazione con la necessità del distanziamento sociale, il famigerato “Smart Working”, potrebbero in futuro diventare una dimensione del lavoro più consona per una serie di settori aziendali non direttamente coinvolti nel processo produttivo. Le funzioni amministrative, infatti, potrebbero essere coordinate e gestite con modalità agile, la trasmissione dei documenti potrebbe definitivamente prendere la strada di un abbandono sistematico della carta. Anche la firma elettronica oggi sta procedendo a ritmo incessante e, salvo le evidenti necessità di sicurezza e tranquillità, probabilmente sostituirà gran parte delle normali relazioni contrattuali.
Insomma, per concludere, i cambiamenti più o meno radicali che riguardano il futuro della nostra vita e della nostra professione sono rimessi a un resettaggio complessivo di ciascun aspetto relazionale e organizzativo che riguarderà il futuro della nostra vita, del nostro lavoro. Ai giovani, ai quali è rimessa per competenze ed energia ogni possibile nuova frontiera di questo avvenire, occorre oggi rimettere al centro le loro competenze, le loro energie e la loro vitalità, e occorre consegnare loro il nostro senso di responsabilità di chi è più maturo e consapevole, affinché di questa brutta esperienza, che speriamo sia presto soltanto un ricordo, potremo trarre ogni necessaria, o possibile, onorevole via d’uscita.
Marco Dettori, Presidente, Assimpredil Ance
Aprile 2020