Fuori dalla crisi 2014 numero 39
Fare impresa in Italia è difficile, in particolare per chi ha nel mercato interno il mercato prevalente di riferimento come il...
Fare impresa in Italia è difficile, in particolare per chi ha nel mercato interno il mercato prevalente di riferimento come il settore dell'edilizia, ma siamo dentro questo Paese per starci e non per prendere e scappare, nonostante le condizioni siano diventate asfissianti.
Il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha detto "dateci un Paese normale e vi faremo vedere di cosa siamo capaci", un messaggio che interpreta il senso di impotenza, ma anche la voglia di andare avanti, di riaccendere i motori e ritornare a fare impresa.
I dati sono noti a tutti e ci aggrappiamo con speranza ai lievi e timidi segnali di inversione di tendenza, ma il nostro settore è stato abbattuto e prima di rialzarsi serviranno molti anni.
Sappiamo che la crisi avrà una ripresa a macchia di leopardo, che in alcune aree sarà più veloce e in altre meno, ma purtroppo c'è ancora “troppa volatilità” e nessuna certezza sulla solidità dei fenomeni positivi, come si è visto nelle dinamiche del PIL del primo trimestre 2014.
Le intenzioni e le avviate azioni espresse dal nuovo Governo in merito al settore delle costruzioni appaiono sostanzialmente chiare nella direzione di agire sull'allentamento del Patto di Stabilità per far ripartire gli investimenti e di favorire la domanda interna di edilizia sociale: è la strada giusta?
Il Paese è chiamato ad un "reality check", ovvero alla necessità di confrontarsi con i dati economici europei che sono legati agli accordi durissimi che abbiamo firmato in passato. Gli effetti del cosiddetto "six pack", di fatto, comportano per l'Italia una riduzione del debito al ritmo di 70 miliardi all'anno, un obiettivo difficile da raggiungere senza vere riforme strutturali.
Su un punto, però, si può essere tutti concordi: se non riparte il settore delle costruzioni il Paese non riparte.
Si tratta, allora, di definire un piano strategico per le Costruzioni che affronti tutti gli aspetti in una visione generale e di breve e medio periodo.
Perché, i fatti lo dimostrano, le misure fino ad oggi adottate non sono sufficienti a far ripartire il mercato interno, a ridare fiducia agli investitori e attrarre capitali anche dall'estero: l'investimento immobiliare è depresso da una serie concomitante di pesi che vanno rimossi.
Bisogna quindi chiedersi se gli interventi tattici messi in campo in questi mesi sono utili alla definizione di una politica industriale per il settore, perché non potrà prescindere dalla valutazione della capacità di risposta del sistema, per così dire, attuativo: competenze delle strutture di committenza presso gli Enti Locali e le stazioni appaltanti delegate; il livello delle prestazioni di un tessuto professionale parcellizzato e con un fabbisogno di qualificazione; la cultura organizzativa e operativa della trama micro imprenditoriale che caratterizza il nanismo del sistema delle costruzioni Italiano.
Appare evidente che per far ripartire questo settore bisogna avviare un processo di rapido adeguamento e innovazione di tale sistema, sostenendo e favorendo, anche con strumenti innovativi, la trasformazione del mercato verso modelli organizzativi in grado di ritornare a competere.
Per quanto riguarda il sistema delle imprese, forse la crisi apre nuove prospettive e ci permette di rimettere al centro dei fattori di successo la capacità di essere knowledge-based, ovvero di saper generare conoscenze, saperi, competenze, che cumulate sono essenziali per competere sui mercati internazionali.
In questa stessa visione del potenziale su cui lavorare prioritariamente, l'istituzione delle città metropolitane, risolte le attuali confusioni e incertezze, potrebbe essere uno dei progetti più importanti per il Paese, se diventerà lo strumento per velocizzare il funzionamento del sistema impattando e sciogliendo i nodi "dell'ultimo miglio" che più frenano l'attività sul territorio.
Ma ripartire dalle città vuol dire anche ripartire dai luoghi con maggiori potenzialità di crescita e di sviluppo, con capacità di organizzare una offerta attrattiva grazie alle connessioni e sinergie attivabili.
La storia delle città insegna che proprio dalle città nascono, crescono e si sviluppano le imprese attraverso uno scambio reciproco di relazioni, ma nell'economia globale bisogna ridefinire il rapporto fiduciario ricostruendo nuove alleanze.
Guardando in nostro Paese e l'Europa dal satellite è facile capire come la Città metropolitana sia un fatto fisico e che le altre aree con cui ci confrontiamo sono Londra, Parigi, il nord della Germania: Zone con una grandissima densità di popolazione gestite con sistemi di coordinamento leggeri e funzionali, senza i campanilismi che purtroppo caratterizzano, invece, il nostro Paese.
Attenzione, però, a non considerare tali sistemi come esempio e punto di arrivo, e l’Italia ha un valore nella frammentazione che può generare un modello di eccellenza e di rinascita.
Per ripartire dobbiamo individuare le staffette e le città sono gli ecosistemi in grado di innescare connessioni tra: ricerca - le grandi università, potenziale creativo - i giovani, innovazione - il tessuto di professioni e imprese.
Troppo spesso in questi anni le politiche economiche hanno lavorato su due motori determinanti: il potenziamento delle esportazioni e la spinta del mercato interno, sottostimando il ruolo del territorio come volano proprio per i consumi interni.
Per questo, nel nostro Paese il primo motore ha funzionato e il secondo si è inceppato, gettando il comparto delle costruzioni, che opera prevalentemente nel mercato interno, in una crisi da cui facciamo fatica ad uscire.
Se la politica economica degli ultimi anni ha avuto come priorità l'apertura dei mercati - politiche export-led, oggi non può essere sottovalutata l’emergenza di un vero sostegno al mercato interno che vede le costruzioni come attore economico primario per via dell’indotto generato in ben 18 settori industriali collegati nella lunga filiera. Ma costruzioni vuol dire infrastrutture, tutela del territorio e dei beni ambientali e monumentali, case, scuole e luoghi di lavoro che dal territorio sono gestiti e promossi.
Le statistiche del ciclo recessivo 2008-2012 evidenziano che il settore delle costruzioni nell’euro area è caduto del 19,9%, contro una crescita delle esportazioni del 7,9%. Il motore dell’export ha quindi continuato a funzionare, sia pure a scartamento ridotto, soprattutto in Italia, ma la caduta del reddito e dell’occupazione è imputabile prevalentemente alla caduta produttiva nel settore delle costruzioni.
In questo quadro i problemi da affrontare sono noti:
• Riduzione e riconfigurazione della domanda residenziale, commerciale e produttiva
• Concorrenza a livelli esasperati giocata prevalentemente sul prezzo e sulle non regole
• “Nanismo” industriale e frammentazione della filiera
• Sistema bancario frenato per sostenere la ripresa degli investimenti nel settore
• Regole e procedure farraginose e in continua modifica che generano tempi e costi insostenibili
• Assenza di politiche di settore adeguate alla situazione di emergenza produttiva
• Calo dell'occupazione e scomparsa di migliaia di imprese
• Degrado urbano e disinvestimento pubblico
Ma le crisi sono sempre occasione per ridisegnare gli scenari competitivi e dalla crisi si esce cogliendo le opportunità che il nuovo mercato offre:
• Permanenza di quote di domanda abitativa inevase a cui rispondere con nuovi modelli di intervento
• Nuovo ruolo delle costruzioni per la riqualificazione ambientale del territorio, investimenti green
• Riqualificazione ed efficientamento energetico del costruito, qualità urbana
• Risveglio di attenzione su scuole, dissesto idrogeologico e sismico con potenziali di sviluppo
• Uso della fiscalità immobiliare come leva per far ripartire gli investimenti
• Innovazione di prodotto e di processo
• Esplorazione di nuovi mercati
• Pubblico Privato verso nuovi modelli economici
L'elenco dei problemi e delle opportunità è solo una sommaria fotografia delle sfide a cui siamo chiamati per partecipare alla costruzione del FUTURO del nostro settore.
Ma oggi abbiamo alcune strade da percorrere e dobbiamo decidere da che parte vogliamo andare, con coraggio e determinazione ognuno di noi deve decidere e giocare il tutto per tutto.
Pensiamo che:
• non ci siano alternative alla chiusura e uscita dal mercato?
• ci siano ancora possibilità di consolidamento nel mercato interno, con i prodotti e i processi fino ad oggi usati?
• si aprano prospettive di crescita per l’impresa con la trasformazione del prodotto e del processo per consolidare la presenza nel mercato delle nuove costruzioni?
• sia indispensabile la riconfigurazione del modello produttivo per recuperare concorrenzialità nel mercato, un mercato che sarà diverso e sempre più orientato alla riqualificazione?
• la diversificazione del prodotto e del processo, la specializzazione in comparti e nicchie ad alta tecnologia sia l'unica strada per penetrare in nuovi mercati?
Qualunque sia la visione del futuro, siamo chiamati a comprendere le sfide che ci aspettano e a proporre una strada da imboccare.
Claudio De Albertis, Presidente Assimpredil Ance