Fuga dalla crisi 2013 numero 38
Al termine di questo drammatico periodo, il mondo della produzione edilizia sarà diverso da quello attuale: saranno diversi i soggetti.
Il lungo periodo di recessione che abbiamo vissuto non è assimilabile ai periodi di crisi che ciclicamente hanno investito il settore delle costruzioni dagli anni della ricostruzione ad oggi.
Credo si tratti, piuttosto, di una rivoluzione complessiva del sistema economico e del mercato destinata a cambiare completamente gli scenari ai quali la storia di questi decenni ci ha abituato.
Al termine di questo drammatico periodo, il mondo della produzione edilizia sarà diverso da quello attuale: saranno diversi i soggetti, saranno diversi i prodotti, saranno diverse, auspicabilmente, anche le regole. È dalla combinazione di questi nuovi fattori che si verrà a configurare l’offerta edilizia di domani.
Innanzitutto, con riferimento ai soggetti: certamente il mercato opererà una selezione degli attori. Il nostro mercato è costituito da troppe imprese, troppo piccole e polverizzate.
Una situazione che deriva da molteplici cause, ma prima di tutto dall’assenza, sino ad oggi, di un sistema di qualificazione dell’attività di imprenditore edile, considerata attività libera; chiunque può fare l’imprenditore in questo settore semplicemente presentando alla Camera di Commercio una carta d’identità e un codice fiscale.
Quanto alle regole del mercato, attualmente esiste un sistema di qualificazione soltanto nel settore degli appalti pubblici che fa capo alle SOA, mentre non esistono meccanismi di qualificazione nel mercato privato.
E’, questa, un’esigenza sempre più avvertita: perché l’immagine e la reputazione di un’impresa sono fattori determinanti ai fini della sua competitività; perché qualificazione dell’impresa significa, innanzitutto, qualità del processo produttivo e dell’organizzazione dei fattori della produzione, regolarità dei rapporti di lavoro e sicurezza nei cantieri, nonché qualità prestazionale del prodotto realizzato; e, infine, perché qualità delle imprese significa competitività del territorio e delle città, motori del sistema economico nazionale.
Le condizioni del mercato e il panorama economico quale si prospetta al termine di questa fase depressiva impongono norme che garantiscano la serietà degli operatori: un percorso di qualificazione che valorizzi e renda trasparente la struttura dell’impresa e conseguentemente permetta al mercato di conoscere per scegliere l’operatore più adeguato.
Se poi parliamo del prodotto edilizio, visto nell’ottica di quella che sarà la città di domani, dobbiamo fare una riflessione su cosa dovranno essere e a cosa dovranno servire gli edifici: come dovranno essere la casa e l’ufficio o il posto di lavoro, non soltanto quali nuclei abitativi o lavorativi, che rilevano da un punto di vista sociologico, ma anche da un punto di vista tecnico-progettuale, per le caratteristiche, i requisiti, le esigenze che occorre soddisfare.
Sotto l’aspetto sociologico, il nuovo modello abitativo sarà condizionato fortemente dall’andamento demografico del nostro Paese, dal modificarsi del concetto di famiglia tradizionalmente inteso, ma soprattutto dal crearsi di quelle famiglie e di quei nuclei che si formeranno, sempre più numerosi a seguito degli scorpori della famiglie di origine, della frantumazione del modello tradizionale di famiglia, del nascere delle coppie di fatto: tutti fenomeni che si dovranno gestire anche sotto l’aspetto dell’esigenza abitativa.
D’altronde, questa sarà sempre più la realtà. I nuclei famigliari sono sempre più piccoli: le coppie tendono a tardare l’allargamento della famiglia; i giovani restano molto più a lungo con i propri genitori; gli anziani aumentano in quanto aumenta l’età media della popolazione; ci sono molti single e tanti studenti; comincia ad affermarsi anche da noi il fenomeno dell’appartamento in condivisione. Va poi considerata la domanda abitativa espressa dagli immigrati, previsti in costante aumento nei prossimi anni. Ognuna di queste categorie esprime bisogni differenti.
Allo stesso modo, i nuovi modelli di uffici e luoghi di lavoro dovranno saper coniugare le esigenze che discendono dalle formule, sempre più diffuse, di co-working e di home working, che impongono soluzioni diverse da quelle tradizionali, oltre all’influenza dei problemi relativi alla mobilità che caratterizzeranno sempre di più la nostra società del domani.
Sotto l’aspetto tecnologico e di innovazione, occorre rimarcare come il prodotto edilizio sia un prodotto rimasto fermo agli anni Cinquanta nei modelli tipologici, nei processi e nelle tecnologie costruttive. Credo fermamente che il mondo dei costruttori debba ripensare al prodotto edilizio come è stato progettato e realizzato negli ultimi decenni: i sistemi di costruzione, le tecnologie, i materiali, l’organizzazione stessa del cantiere.
Oggi molto è cambiato. Sono diverse le tecnologie costruttive; è obbligatorio l’adeguamento a prescrizioni di sostenibilità ambientale che hanno rinnovato completamente le regole del passato; ci sono innovazioni materiche che rappresentano vere e proprie novità nel mondo delle costruzioni; la formazione e le responsabilità delle maestranze sono state rivoluzionate.
Di tutto questo il costruttore deve tener conto: deve cambiare l’ottica con cui si vede l’edificio da costruire. Il manufatto edilizio deve essere concepito e progettato come un vero e proprio prodotto industriale, a 360 gradi: un prodotto che nasce da un processo di costruzione, con una data di fabbricazione, una data di scadenza, un costo di gestione, di utilizzo e di manutenzione, un’attenzione al ciclo di vita (vero perno della sostenibilità), una trasparente esplicitazione dei componenti, un’estrema chiarezza sulle prestazioni e un’offerta di adeguate garanzie.
Solo in questo modo, facendo propria questa diversa e nuova concezione, l’industria delle costruzioni potrà realizzare un prodotto diverso, molto meno costoso ed estremamente più funzionale, che rispetti i requisiti e le condizioni che la legge prescrive e che vada incontro ai bisogni espressi da una nuova domanda.
Per fare questo, però, è necessaria una integrazione sempre più stretta tra la fase progettuale e la fase costruttiva dell’edificio.
Una delle più importanti novità che ha interessato il settore edile negli ultimi anni è stata l’introduzione di nuove regole, a volte prescrittive, a volte solo premiali, in merito alla sostenibilità degli edifici, alle tecnologie costruttive, all’organizzazione del cantiere, agli obblighi di natura ambientale. Regole che da un lato hanno richiesto attenzione al rispetto di ben precise prescrizioni legislative e dall’altro hanno aperto la strada ad una maggiore considerazione della qualità del fabbricato.
Più in generale, queste nuove norme hanno messo in moto un processo di aggiornamento e di acculturamento dell’intera filiera edile, le cui figure erano spesso prive delle necessarie competenze sia sotto l’aspetto progettuale che sotto l’aspetto costruttivo.
Ma, soprattutto, hanno determinato la inevitabile integrazione tra i saperi e le scelte di tutti gli attori che partecipano, dall’inizio alla fine, al lungo iter di realizzazione del fabbricato.
Evidenti i vantaggi conseguibili da questa integrazione, a cominciare dalla riduzione dei tempi e dei costi dell’iter di costruzione, e dal risultato qualitativamente superiore dei requisiti di sostenibilità, intesa in senso complessivo, del fabbricato.
Se, però, innegabili sono i vantaggi conseguibili con la progettazione integrata, occorre anche sottolineare che ciò comporta un flusso ininterrotto di dati tra soggetti diversi (progettista, capocantiere, committente, utente finale, ecc.). Ad ogni passaggio, infatti, il rischio di incoerenze e perdite di informazioni è sempre molto elevato e spesso ciò si tramuta in un costo per le imprese. Questo rischio può essere minimizzato grazie al potenziale della c.d. interoperabilità.
Parlando del futuro del prodotto edilizio, non possiamo dimenticare l’importanza dell’efficienza energetica degli edifici: come è noto, infatti, gli edifici sono responsabili del 40% del consumo energetico su scala europea.
La Commissione Europea, conscia del problema e della sua incidenza sui cambiamenti climatici globali e sull’inquinamento locale, spinge gli Stati membri ad emanare apposite norme per contrastare il fenomeno. Ciò è avvenuto con la Direttiva 2002/91/CE e, più recentemente, con la Direttiva 2010/31/UE.
Tale Direttiva impone agli Stati membri di emanare disposizioni affinché i nuovi edifici e tutti quelli soggetti a “ristrutturazioni importanti” (ovvero le ristrutturazioni il cui costo superi il 25% del valore dell’edificio o che riguardino almeno il 25% della superficie dell’involucro) abbiano un consumo energetico “quasi zero”.
Il recepimento di tale Direttiva dovrà chiarire quali usi energetici dovranno essere inseriti nel consumo energetico (al momento, infatti, sono vigenti obblighi solo sul riscaldamento degli ambienti) e dovrà essere determinato il concetto di “quasi zero”.
Il recepimento dovrà, però, confrontarsi con un quadro legislativo non semplice: ci si augura che sostituisca con un unico atto l’intera produzione legislativa seguita alla Direttiva 2002/91/CE e che non sia soggetto a successive e varie integrazioni.
Il settore edile, come ogni altro settore dell’imprenditorialità, ha infatti bisogno di regole chiare, condivise e stabili nel tempo.
La sostenibilità ambientale degli edifici sarà la nuova frontiera per un’edilizia innovativa.
Infatti, si è già visto come le criticità energetiche (costo dei combustibili e crescente inquinamento) hanno fornito al settore edilizio segnali chiari per un cambiamento che considerasse il fattore energia come uno degli elementi chiave in un percorso costante verso l’innovazione.
Allo stesso modo, la tematica ambientale, non riduttivamente vista come "risparmio di energia", potrebbe essere il prossimo volano per l’innovazione, se adeguatamente supportato da nuovi incentivi e da nuove opportunità di mercato.
Un problema da superare è l’insufficiente coordinamento tra le varie regolamentazioni, ben rappresentato da alcuni regolamenti edilizi comunali che impongono l’utilizzo di specifiche tecnologie, che godono di una forte popolarità, dimenticandosi dell’esistenza di altre tecnologie concorrenti, meno alla moda ma più efficaci.
L’obiettivo comune deve essere quello di massimizzare la prestazione ambientale globale dell’edificio e non di imporre specifiche tecnologie e materiali: in tal modo, verrà riaffermata la centralità e priorità di una corretta progettazione, capace di utilizzare tutti i contributi possibili (tanto dall’involucro, quanto dalla bioclimatica e dall’impianto termico), al fine di ottenere un sensibile ed effettivo risparmio energetico e un elevato comfort climatico.
Una progettazione più attenta agli impatti ambientali sicuramente costa di più, ma permette un contenimento di una serie di voci che pesano sul bilancio economico dell’intervento edilizio.
Il rinnovamento della città non può, però, avvenire agendo esclusivamente sulle nuove costruzioni, che, secondo la Commissione Europea, hanno un peso modesto (dallo 0,5% al 2% annuo) rispetto al numero totale di edifici. Occorrerebbero, infatti, decenni per avere un impatto significativo delle nuove tecniche sostenibili. Di conseguenza, occorre che siano resi più sostenibili e meno energivori gli edifici esistenti, eseguendo idonee ristrutturazioni e sostituzioni edilizie.
Credo che sia necessario far scattare, insieme, due leve. Da un lato, stimolare il mercato privato tramite l’erogazione di appositi incentivi di natura fiscale ed edilizia, eventualmente anche riconvertendo in un’ottica sostenibile gli attuali incentivi; dall’altro lato, sollecitare la committenza pubblica affinché aumenti il numero di appalti con forte connotazione di sostenibilità; perché, ad esempio, non individuare una serie di aree particolarmente avvantaggiate sul versante delle bioclimatica (per massimizzare gli apporti solari e la ventilazione naturale), da destinare all’insediamento di questo nuovo tipo di edifici, che possano anche avere una funzione didattica quanto a materiali, tecnologie e soluzioni adottate, soprattutto in termini di progettazione integrata?
L’obiettivo della sostenibilità è importante ed ambizioso e per raggiungerlo è necessario che tutti i soggetti coinvolti (il mondo imprenditoriale e tecnico, da una parte, e la pubblica amministrazione dall’altra) facciano la propria parte.
Il settore delle costruzioni può innescare un processo di sostenibilità oltre la normativa, che sappiamo tutti essere già molto rigorosa, e portare la città a guardare concretamente alle prospettive che la green economy può offrire in termini di trasformazione del mercato.
Da tempo diciamo che la Pubblica Amministrazione è l’infrastruttura su cui corrono le idee, è il partner della crescita e dello sviluppo. Ma, soprattutto è regista delle forme, delle dimensioni e della qualità delle nostre città.
Bisogna finalmente avviare, con serietà e consapevolezza, un percorso di semplificazione e di innovazione normativa agendo a tutti i livelli e ricercando, tra pubblico e privato, terreni di azione comuni.
La più difficile, ma non impossibile, sfida per il rinnovamento è quella di rendere la Pubblica Amministrazione più efficace ed efficiente, superando gli eccessi di burocrazia e di lentezza nei processi autorizzativi. In questo, la città deve porsi come laboratorio della sperimentazione di un nuovo corso nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadini e tra Pubblica Amministrazione e imprese: occorre farlo, è la pre-condizione per ripartire.
Ma per fare questo occorre, prima di tutto cambiare le regole: non si può pensare al nuovo mercato che potrà svilupparsi dopo questa prolungata e potente recessione, e alla tipologia di offerta che nascerà dalla produzione edilizia, con la coesistenza di regole vecchie. E’ fondamentale che nuove regole siano dettate per consentire alla nuova offerta di poter decollare.
Questo significa aggiornamento del quadro normativo: anche se molto sta cambiando, il nostro Paese risulta essere ancora vittima di un sistema poco flessibile e, pertanto, incapace di cogliere tutte le opportunità offerte dagli intervenuti progressi tecnologici.
Se per andare incontro al mercato il settore delle costruzioni deve puntare verso la sperimentazione, allora serve l’aiuto del legislatore: c’è l’esigenza di un nuovo approccio normativo che operi la sostituzione di regole farraginose che affaticano senza motivo le nuove costruzioni con regole nuove, moderne, in linea con quelle di altri Paesi europei, che diano l’opportunità di pensare a un’offerta immobiliare adeguata a quella che sarà la nuova domanda immobiliare.
Un’ultima considerazione, strettamente connessa a quanto sinora detto, va rivolta al sistema bancario: negli ultimi 5 anni la riduzione dei finanziamenti al settore delle costruzioni per il comparto abitativo è stata di quasi il 50% e di oltre il 60% nel non residenziale.
Per uscire dalla crisi le imprese hanno bisogno di nuovi rapporti con il sistema delle banche, sia per quanto riguarda i finanziamenti ordinari, sia per quelli a lungo termine: è fondamentale per il settore delle costruzioni una politica volta a sostenere gli investimenti a lungo termine con misure specifiche che permettano lo sviluppo di interventi immobiliari sul territorio con caratteristiche di innovatività di prodotto e di eco sostenibilità, nonché gli interventi legati alla rigenerazione delle aree urbanizzate.
Il settore delle costruzioni è uno dei più convenzionali e dei più conservativi, ma la crisi che ci ha investito in questi anni ha provocato un’accelerazione nel cambiamento e richiede un salto tecnologico e culturale che ognuno degli attori del nostro settore, cogliendo una straordinaria opportunità, ha il dovere di compiere.
Claudio De Albertis, Presidente Assimpredil Ance