Fuga dalla crisi 2013 numero 38
Da molti fronti esperti di tutti i settori si stanno chiedendo da tempo: come uscire da “questa” interminabile crisi?
Una crisi sicuramente senza precedenti dall’ultimo Dopoguerra e che richiede quindi una sensibilità particolare nel tentativo di prospettare possibili soluzioni di way out. Ci si chiede tra l’altro: le strategie di sviluppo sostenibile possono rappresentare un asse portante delle prospettive di ripresa? E possono rappresentare il percorso anti-crisi del settore delle costruzioni, tuttora in fase di preoccupante recessione?
Una premessa è d’obbligo: se, fino a qualche anno fa, la sostenibilità economica, ambientale e sociale poteva rappresentare il corno di un dilemma che ancora metteva al tavolo dei decisori strade differenti di “dispersione di risorse”, oggi è un must.
La dimensione di generale e diffusa scarsità che la crisi ha portato con sé impone un approccio più che oculato alle risorse, tutto all’insegna del risparmio. Di sprechi, a essere seri, non si può proprio più parlare per il semplice fatto che è rimasto ben poco da sprecare. Oltre alle risorse economiche e finanziarie, anche il capitale ambientale e sociale va valorizzato al massimo, proprio e anche per compensare la scarsità di valore strettamente economico.
Detto ciò, sembra paradossale che il settore delle costruzioni si trovi ad attraversare la sua crisi peggiore in una fase storica e sociale che vede nello sviluppo urbano e infrastrutturale il punto chiave della sua dinamica evolutiva. A questo proposito, i numeri della crescita della popolazione urbana nel mondo sono noti.
A fronte di un 2% di popolazione mondiale insediata nelle città a inizio del diciannovesimo secolo, nel ventunesimo secolo la popolazione urbana è pari al 50% e raggiungerà il 60% nel 2030. Per la prima volta nella storia dell’umanità la maggioranza della popolazione mondiale vive nelle città e questa proporzione continuerà ad aumentare.
Nel 2050 sette persone su dieci vivranno in città, rappresentando il 70% di una popolazione che si stima attorno ai 9 miliardi di persone. E’ vero che il tasso più alto di urbanizzazione si registra nei Paesi emergenti.
Ma è altrettanto vero che i Paesi maturi si trovano ad affrontare una crescita urbana che sarà determinata per circa due terzi dall’immigrazione. L’Europa a 27, secondo Eurostat, vedrà aumentare i suoi cittadini dai 501 milioni registrati a inizio 2010 a 525 milioni nel 2035 e toccherà probabilmente il picco di 526 milioni attorno al 2040, con sensibili differenze tra gli Stati Membri: nel 2060 sarà il Regno Unito il Paese con la popolazione più numerosa (79 milioni), seguito dalla Francia (74 milioni), dalla Germania (66 milioni), dall’Italia (65 milioni) e dalla Spagna (52 milioni). Questa linea di tendenza genera nuovi e pressanti bisogni.
I Paesi emergenti dovranno creare condizioni di habitat favorevoli per un numero crescente di persone, bonificando progressivamente il degrado degli slums. I Paesi maturi dovranno avviare una consistente riqualificazione degli habitat esistenti per una maggiore efficienza ambientale, economica e sociale capace di distribuire le risorse scarse esistenti a una popolazione in continuo aumento.
In ogni caso, sarà indispensabile ridurre l’impronta ecologica delle città che, oltre ad occupare porzioni significative di territorio, sono responsabili di circa l’80% del consumo globale di energia, di oltre il 70% delle emissioni di gas serra e di oltre il 70% della produzione mondiale di rifiuti.
E non è certo da trascurare, nella fase attuale di cambiamento e instabilità climatica, l’esigenza di riabilitazione di aree urbane colpite da calamità naturali, in particolare da eventi sismici e da fenomeni di dissesto idro-geologico, e, allo stesso tempo, di interventi di riqualificazione e messa in sicurezza per un’adeguata prevenzione del rischio sismico.
Insomma la transizione, con buona probabilità irreversibile, verso un mondo prevalentemente urbano apre straordinarie prospettive di sviluppo che dovranno ruotare attorno ai tre pilastri della sostenibilità: economico, dovendo rendere disponibili alloggi economicamente accessibili ai nuovi cittadini, anche dal punto di vista dei consumi energetici; ambientale, dovendo garantire un uso più efficiente delle risorse e dei territori a favore di un numero crescente di persone; sociale, dovendo rispondere ai bisogni di una popolazione multi-culturale e più longeva. Ed è più che evidente che, in questo scenario, il settore delle costruzioni avrà un ruolo centrale e determinante.
Attenzione però: in una prospettiva del tutto nuova, essendo cambiata radicalmente la direzione del ciclo edilizio, che si sposta dall’espansione alla rigenerazione dei tessuti urbani e alla riqualificazione del costruito per un migliore utilizzo delle risorse e dell’energia.
In Europa, come è noto, il tema dell’efficientamento energetico è una priorità, dato che le nuove normative sull’efficienza energetica in edilizia impongono, da qui al 2019, per tutti gli edifici pubblici di nuova costruzione un regime “a quasi zero energia”. Dal 2020 lo stesso target dovrà essere raggiunto anche dagli edifici privati e, nel frattempo, dovrà essere avviato un processo di trasformazione per il patrimonio edilizio esistente.
Ma allora che cosa ci sta ostacolando dal cercare di cogliere al volo le opportunità del nuovo e inarrestabile sviluppo urbano? Due ordini di riflessioni vanno fatte, riguardo alle imprese del settore e riguardo alla governance delle città.
Sul fronte impresa, l’impegno richiesto dalle nuove dinamiche di sviluppo urbano in termini di cambiamento culturale è grandissimo. Oggi è indispensabile una professionalità elevata e una capacità di visione progettuale lungo tutta la filiera. Perché, da un lato, gli operatori della filiera devono mettersi al passo con le nuove frontiere dell’innovazione tecnologica nel costruire: digital fabrication, computational design, la ricerca su materiali avanzati sono oggi una realtà tangibile nelle migliori pratiche del settore. Dall’altro lato, dovranno riuscire a mettere in campo una visione e una capacità progettuale “olistica”, idonea cioè a declinare la sostenibilità nel costruire in tutte le fasi del ciclo edilizio.
Non è questa la realtà del tessuto imprenditoriale nel nostro Paese, in cui proprio la mancanza di know how tecnologico e progettuale rende difficile il percorso di cambiamento e innovazione anche ai players maggiori di alcuni segmenti della filiera. Penso in particolare all’impegno in ricerca e innovazione del settore del cemento, in cui l’Italia vanta alcune vere e proprie eccellenze, (v. sdVision 2013-2014 anche per un’ampia discussione delle riflessioni qui svolte).
Su questo fronte è quindi urgente attivare percorsi qualificati di formazione continua per i professionisti e gli operatori della filiera. Va detto, infatti, con lucidità, che oggi probabilmente non siamo ancora pronti ad affrontare nemmeno il percorso disegnato dall’Europa per il campo specifico dell’efficienza energetica.
Ma è certo che, anche con il tessuto imprenditoriale più qualificato, la strada indicata non è percorribile senza una governance adeguata. Perché la rigenerazione urbana sostenibile non è solo una pratica urbanistica mirata a riqualificare edifici e infrastrutture e ad abbattere e ricostruire edifici giunti a fine vita, ma è una strategia complessiva per lo sviluppo sostenibile delle città, funzionale anche alle strategie smart city, che riduce l’impronta ecologica dell’ambiente costruito, limita la dispersione urbana, frena il consumo di nuovo territorio e mira alla riqualificazione delle periferie come punto di partenza per la svolta dell’assetto edilizio e ambientale delle città.
Ci sono esempi importanti, anche vicino a noi, di amministrazioni pubbliche che hanno saputo muoversi in questa direzione. A partire dalla Francia che ha istituito, nei primi anni 2000, l’Agence Nationale pour la Renovation Urbaine (ANRU) deputata alla riqualificazione urbana del Paese, grazie alla quale molti dei quartieri periferici costruiti nel secondo dopoguerra sono stati demoliti per far posto a nuove realizzazioni.
E dagli anni Novanta la città di Barcellona che ha sviluppato, anche in accompagnamento a grandi eventi di portata mondiale, un piano di rigenerazione urbana totale, da cui hanno avuto origine prima i “100 progetti” di Oriol Bohigas e poi l’ammodernamento delle strutture sportive, i molti interventi sul fronte mare, la distribuzione di opere e infrastrutture e gli interventi di recupero e ristrutturazione in molti quartieri della città dal centro alle periferie.
E noi? Dove siamo? Volendo restare saldamente radicati nel terreno fertile del pensiero positivo, c’è una luce sul nostro orizzonte: Torino SMILE, il nuovo Masterplan di Torino Smart City che si propone come il primo progetto strategico chiaro e condiviso elaborato da una città italiana. Torino SMILE disegna un percorso di trasformazione articolato in quattro ambiti strategici di sviluppo: mobilità, inclusione sociale, salute e benessere, energia.
Tra le idee già mature per un’operatività a breve termine spiccano: 1) utilizzare nuove tecnologie, strumenti e metodi a supporto della pianificazione e progettazione urbana per la riqualificazione degli spazi pubblici, anche attraverso azioni integrate di retrofit di edifici e il recupero di aree dismesse; 2) promuovere la sicurezza e la qualità urbana attraverso il controllo del territorio, la rigenerazione urbana intesa come sostegno sociale, risanamento e miglioramento dello spazio; 3) promuovere il risparmio energetico e la sostenibilità ambientale degli edifici privati, attraverso l’adozione di uno standard tecnico di riferimento per la definizione e la verifica degli interventi di riqualificazione energetica degli edifici e l’impiego di sistemi di incentivazione diretta collegati allo standard e alla sostituzione edilizia; 4) sviluppo e sperimentazione di illuminazione pubblica urbana intelligente, mediante impiego di lampade a LED, telegestione dei lampioni, regolazione dell’intensità ed erogazione di servizi a valore aggiunto.
In conclusione: riqualificazione all’insegna dell’eco-efficienza, messa in sicurezza e manutenzione del patrimonio edilizio pubblico e privato esistente, recupero di aree dismesse e valorizzazione degli spazi pubblici con il sostegno dell’infrastruttura digitale, sono queste certamente alcune delle ricette anti-crisi nella nuova città della parte più matura del mondo.
E’ una prospettiva che potrebbe soddisfare i bisogni di tutti, ma che richiede lo sforzo di tutti. Non si può fare senza imprese innovative, ambientalmente e socialmente responsabili. Non si può fare senza un’amministrazione pubblica capace di visione e di operatività per il bene comune. Mettiamoci alla prova.
Cristina Rapisarda Sassoon - Amministratore Delegato di Global Trends