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Luogo di conoscenza

RecuperaMI 2013 numero 35

Milano città dell’economia, città della modernità, ma anche città d’arte custode di un patrimonio culturale inestimabile...

Luogo di conoscenza

Milano città dell’economia, città della modernità, ma anche città d’arte custode di un patrimonio culturale inestimabile, una caratteristica questa vissuta con discrezione che spesso induce a sottovalutarne il valore. Qui troviamo opere che oltre a distinguersi per la loro bellezza sono state capaci di proporsi come modello e rappresentare una svolta fondamentale nell’ evoluzione della storia dell’arte. Solo per fare qualche esempio voglio ricordare l’Abbazia di Chiaravalle, una delle prime architetture italiane capaci di introdurre e diffondere il gotico in Italia; Santa Maria presso San Satiro, uno spazio illusionistico, e Santa Maria delle Grazie, uno spazio reale, prototipi che, avviando il secondo rinascimento, sono stati sperimentati per la prima volta a Milano e poi sviluppati nel San Pietro in Montorio e in San Pietro in Vaticano dallo stesso Bramante quando si reca a Roma dopo la caduta degli Sforza nel 1499; il Cenacolo di Leonardo, capolavoro sommo che forse rimane, insieme al Giudizio della Sistina il dipinto murale più famoso del mondo, ma anche e soprattutto spartiacque di un modo di concepire la pittura. E non possiamo dimenticare figure di eccelsi lombardi che segnano la storia dell’arte: Antonio Sant’Elia, l’architetto comasco formatosi a Brera capace di riscattare l’architettura italiana; questa per secoli, guida e riferimento, a cavallo tra otto e novecento e perse il suo primato rimanendo per decenni in un ruolo marginale. In questo periodo i movimenti architettonici di avanguardia giunsero a noi in forma poco convincente: l’eclettismo fu più una stanca e retorica imitazione degli stili del passato che non una critica e intelligente interpretazione storica, come avvenne ad esempio in Inghilterra, ed anche il liberty, giunto in Italia molto tardi, non ebbe la carica rivoluzionaria e la provocatorietà del Belgio e dell’Austria e fu piuttosto un movimento formalistico ed acritico. Sant’Elia, purtroppo solo con i suoi disegni e con la sua immaginazione, a causa della prematura morte sul fronte nel 1916, inizia quel riscatto creativo che poi si svilupperà qualche anno dopo con il razionalismo, il solo movimento moderno italiano, germogliato proprio in Lombardia, che ebbe un respiro internazionale e seppe dialogare alla pari con la cultura architettonica europea più avanzata. E tra i rappresentanti più autorevoli la figura di Giuseppe Terragni, non a torto considerato il genio dell’architettura del novecento italiano, formatosi a Milano lasciando in Lombardia e nel capoluogo opere impareggiabili. Proprio da queste riflessioni qualche anno fa la Soprintendenza, insieme ad Assimpredil Ance, alla Camera di Commercio e all’Arcidiocesi hanno sviluppato l’idea di costruire l’appuntamento dei “Cantieri dell’Arte” un percorso di conoscenza che ci condurrà al 2015 verso la grande manifestazione dell’Expo. La virtuosa collaborazione tra enti privati e pubblici ha voluto indicare un percorso nuovo ed originale dove il cantiere non è solo l’esecuzione di un progetto ma diventa momento fondamentale di sperimentazione, di conoscenza, di cultura. Quasi sempre la storia dell’architettura, soprattutto quella scritta dagli storici dell’arte, ma non solo, ignora la materia e le tecniche con cui è fatto un edificio, anch’essi caratteri compositivi e non ordinari dettagli pratici e formali. E’ difficile, se non impossibile trovare in un testo di storia dell’architettura la descrizione dei materiali, delle tecniche operative, delle macchine di cantiere, dei colori di un’opera. Durante i diversi convegni di questi anni si è approfondito un tema di assoluta priorità che nel dibattito disciplinare sul restauro, non sempre viene tenuto in dovuto conto: la fase cantieristica. Abbiamo ritenuto dunque necessario spostare l’attenzione su questo momento fondamentale dell’intervento. Si è ampiamente discusso sull’importanza del progetto ma, come noi sappiamo, nel complesso processo di un restauro la conoscenza deve avvenire necessariamente in una fase cantieristica. Diceva Preston che il mestiere del giornalismo è come il football: s’impara praticandolo. Parafrasando questa boutade bisogna riconoscere che il restauro s’impara, anche, e forse soprattutto, praticandolo e dunque sperimentandolo in fase cantieristica. Nei secoli passati i monumenti che noi ora ammiriamo, tuteliamo e restauriamo erano concepiti e realizzati da architetti il cui ruolo non era distinguibile, come avviene nella disciplina moderna, tra direttore lavori e progettista, in quanto ambedue partecipavano al processo creativo dell’opera con la stessa dignità e senza differenziazioni di valore. Gli esempi sono tanti; per rimanere qui a Milano basti pensare all’Amadeo e ai lavori seguiti per la tribuna di Santa Maria delle Grazie, ma uno degli esempi più famosi rimane la cupola di Santa Maria del Fiore di Brunelleschi, il cui merito non è solo quello di aver ideato l’opera ma soprattutto di essere stato capace di portarla a termine grazie alla quotidiana invenzione esecutiva e alla presenza in cantiere. Il processo storico non è sempre galant’uomo se pensiamo alla cupola di San Pietro che viene attribuita unicamente a Michelangelo quando in realtà sappiamo che anche il povero Giacomo della Porta (il “cupolaro” romano) non solo la realizzò, ma in fase esecutiva modificò il disegno. Il suo nome si è ormai perso probabilmente per la grandezza di Michelangelo (normalmente quando si progetta e si lega il proprio lavoro ad un nome così grande si è destinati a scomparire), ed anche perché, come siamo abituati attualmente, facciamo quella distinzione qualitativa tra direzione lavori e progettazione. Questo però non è vero nel restauro, l’unica disciplina dell’architettura attuale, nella quale la fase cantieristica ha pari dignità della fase progettuale, e anzi la fase cantieristica è il momento in cui il progetto si verifica e si sperimenta. Nell’intervento di restauro si ripropone dunque la figura del direttore lavori in senso storico quando non si era ancora concretizzata la attuale differenza gerarchica con il progettista perché ambedue (che poi spesso erano la stessa persona) contribuivano in maniera paritetica all’opera. D’altronde credo sia condivisibile l’affermazione di Marco Dezzi Bardeschi quando dice che “il cantiere è il punto critico, l’effettivo banco di prova di ogni dichiarazione di buone intenzioni”. Anch’io ritengo che l’esecuzione sia il momento determinante del processo di restauro però credo che l’affermazione di Dezzi Bardeschi vada ribaltata perché così formulata identifica il cantiere come momento di conferma di una disciplina teorica ed invece il cantiere non è solo una verifica, ma è l’esperienza primaria dove attingere per determinare i principi che non sempre derivano dall’astrazione, ma anche dalla ricerca applicata. Sono queste le ragioni che ci hanno convinto ad affrontare in questi anni nei “Cantieri dell’Arte” il tema così complesso e affascinante del restauro da questo originale punto di vista. Ma oltre a questo si sono voluti approfondire anche gli aspetti economici, la formazione, l’organizzazione dell’impresa altre importanti realtà che sono il supporto necessario e il motore di ogni operazione di restauro e di conservazione e hanno un vero e proprio significato culturale.

Alberto Artioli - Soprintendente per i Beni Architettonici di Milano | Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del comune di Milano


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Autore: Alberto Artioli

TAGS: Architettura, Arte, Cultura

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