Il settore delle costruzioni sta vivendo una crisi drammatica. Dal 2008 al 2013, il settore avrà...
La crisi del settore delle costruzioni
Il settore delle costruzioni sta vivendo una crisi drammatica. Dal 2008 al 2013, il settore avrà perso circa il 30% degli investimenti, pari a circa 53 miliardi di euro. La caduta dei livelli produttivi coinvolge tutti i comparti, dalla produzione di nuove abitazioni, che nei sei anni avrà perso il 54,2%, all’edilizia non residenziale privata, che segna una riduzione del 31,6%, alle opere pubbliche, che registrano una caduta del 42,9%. Solo il comparto della riqualificazione degli immobili residenziali mostra una tenuta dei livelli produttivi (+12,6%) grazie anche all'effetto di stimolo degli incentivi fiscali.
Un piano straordinario di opere pubbliche
La crisi economico-finanziaria e il noto gap infrastrutturale del nostro Paese riportano costantemente l’attenzione sulla necessità di realizzare investimenti in opere pubbliche per il loro effetto anticongiunturale di sostegno della domanda e per gli effetti duraturi che producono sulla crescita del Paese, vista la loro capacità di sostenere la competitività del sistema produttivo e migliorare la qualità della vita della collettività.
Nella convinzione che la politica infrastrutturale costituisca un elemento centrale della strategia di rilancio dell’economia nazionale, è necessario dare avvio ad un piano straordinario di opere pubbliche, che l’Ance stima in 70 miliardi di euro in 5 anni, che comprenda grandi opere di collegamento accanto ad interventi piccoli e medi di messa in sicurezza del territorio dai frequenti dissesti idrogeologici, di riqualificazione e ammodernamento del patrimonio scolastico e la realizzazione di un programma di opere funzionali alla riqualificazione delle città.
Una simile manovra è in grado di sostenere in modo consistente la ripresa e la crescita dell’economia e di determinare un rilevante aumento di occupazione, senza sforare il limite del 3% di deficit fissato dall’Unione Europea e riducendo addirittura il rapporto debito/PIL. Per realizzare ciò è necessario creare, nei conti pubblici, le condizioni finanziarie idonee ad un simile programma di intervento. E’ necessario, quindi, attuare concretamente il percorso di spending review già avviato, abbandonando l’inefficace politica dei tagli lineari, adottata negli ultimi anni, e intervenendo su alcune voci di spesa corrente improduttiva.
Riequilibrio dei conti pubblici
Per realizzare un simile piano infrastrutturale è necessario, però, un cambio di passo nelle politiche di bilancio adottate dal decisore pubblico che, negli ultimi venti anni, hanno sempre favorito la componente in conto corrente della spesa a svantaggio degli investimenti in conto capitale, quelli più produttivi per il Paese.
Dal 1990 ad oggi, gli stanziamenti nel bilancio registrano una riduzione del 42,6% delle spese in conto capitale, a fronte di un consistente aumento della spesa corrente al netto degli interessi del debito pubblico (+30%). Se poi, si considera la parte della spesa destinata alla realizzazione di nuove opere pubbliche, il divario rispetto all’andamento della spesa corrente è ancora più evidente. Le risorse per nuove infrastrutture, infatti, hanno subito, rispetto al 1990, una riduzione di oltre il 61%.
Le conseguenze di tali scelte sono evidenti nell’andamento della spesa pubblica. Particolarmente significativi appaiono i dati a partire dal 2009, anno del consolidamento della crisi. Le manovre correttive varate in questi anni, nate in circostanze emergenziali, hanno agito quasi esclusivamente sulla componente in conto capitale della spesa, quella più facilmente comprimibile nei temi necessari ad assicurare la correzione dei saldi di finanza pubblica. Dal 2009 al 2012, infatti, la spesa in conto capitale è diminuita di 19 miliardi (-28,5%) mentre quella corrente ha continuato a crescere registrando un aumento di 5,9 miliardi di euro (+0,9%). Le previsioni per i prossimi anni confermano tale tendenza: per gli anni compresi tra 2013 ed il 2017 è previsto un ulteriore aumento di spesa corrente al netto degli interessi di 51,9 miliardi, mentre la spesa in conto capitale si ridurrà di 4,7 miliardi.
Sull’andamento delle spese in conto capitale degli ultimi anni ha influito il forte irrigidimento del Patto di stabilità interno. Per rispettare i vincoli europei, molti enti locali hanno agito quasi esclusivamente sulla spesa in conto capitale, bloccando l’avvio di nuovi investimenti e i pagamenti alle imprese, anche a fronte di lavori regolarmente eseguiti ed in presenza di risorse disponibili in cassa. Nel periodo 2004-2010, ad esempio, a fronte di un obiettivo di riduzione di spesa del 6%, i comuni hanno ridotto del 32% le spese in conto capitale, aumentando invece del 5% le spese correnti.
Il Disegno di Legge di Stabilità 2014, attualmente in esame al Senato, non sembra offrire risposte all’esigenza di una piano infrastrutturale “anticrisi”, sebbene l’impostazione seguita dal Governo rifletta quel cambio di passo già osservato, in misura certamente più netta, con il Decreto del fare e il Decreto casa.
Le misure introdotte per sostenere gli investimenti pubblici appaiono positive ma non sufficienti. Positive sono, senz’altro, le scelte adottate nella destinazione dei nuovi finanziamenti; tuttavia le risorse messe in campo sono inadeguate.
In merito al Patto di stabilità interno degli enti locali, la manovra prevede un allentamento pari a 1 miliardo nel 2014 che, però, risulta completamente annullato dall’irrigidimento del Patto delle regioni (1.800 milioni nel 2014). Manca, inoltre, quella riforma organica delle regole del Patto necessaria per consentire un’equilibrata politica di investimenti da parte degli enti locali.
Accelerare le procedure di attivazione dei programmi infrastrutturali
Accanto alla scarsità delle risorse pubbliche per le infrastrutture, in Italia molto spesso l’efficacia dei programmi di investimento viene ostacolata da una scarsa attenzione al processo di selezione degli interventi, di finanziamento, di redazione ed approvazione dei progetti, di monitoraggio dello stato di attuazione e dall’assenza di sanzioni credibili e certe a danno dei soggetti responsabili.
Al fine di razionalizzare i diversi momenti del ciclo di vita degli interventi ricompresi nei piani infrastrutturali, l’Ance ha proposto un percorso tecnico istituzionale in grado di accelerare la realizzazione dei programmi infrastrutturali di opere medio piccole, da attivare nell’ambito delle competenze del Ministero delle Infrastrutture, su richiesta degli enti locali, attraverso i Provveditorati alle Opere Pubbliche. Il sistema studiato prevede il monitoraggio degli interventi attraverso una commissione tecnica Stato-Regioni-Soggetto attuatore che verifica il rispetto del crono programma dei singoli interventi in modo da consentire anche un monitoraggio del Piano complessivo.
Una procedura per il consenso
Un ostacolo ricorrente alla realizzazione delle infrastrutture riguarda l’acquisizione del consenso tra enti e popolazioni locali. Ricostruire il dialogo è la sfida più difficile da affrontare ma è anche un’azione necessaria he può permettere di segnare una svolta nella storia e nella cultura italiana del “fare infrastrutture”.
Per questa ragione, l’Ance ha sviluppato una proposta di procedura per il consenso basata su uno strumento di “dibattito pubblico”, sul modello francese, affidato ad un soggetto indipendente che consenta di informare in modo chiaro e completo la popolazione sul progetto, garantire che le opinioni e le proposte siano prese in considerazione nel corso della definizione del progetto dando tempi certi e scegliendo modalità trasparenti per lo svolgimento del confronto e del dialogo.
Tale proposta è una prima risposta alle inefficienze che l’Ance ha più volte messo in risalto per ridurre la conflittualità nelle fasi successive, in quanto gran parte delle previsioni potenzialmente “dannose” per le parti coinvolte saranno conosciute e “corrette” fin dall’inizio della procedura.
Il coinvolgimento dei capitali privati
Vista la carenza di risorse pubbliche appare necessario, infine, intervenire per rimuovere le barriere che ostacolano l’uso di capitali privati nella realizzazione di opere al servizio della collettività.
L’esperienza osservata nel corso dell’ultimo decennio testimonia una sostanziale inefficacia di moltissime iniziative intraprese, misurata dall’alta mortalità dei progetti di nuovi servizi di pubblica utilità avanzati dai privati.
L’indagine, compiuta dall’Ance, sulla realizzazione delle opere in project financing in Italia1, ha offerto, per la prima volta, un’analisi delle iniziative concretamente avviate tramite il PPP, superando la generalizzata carenza informativa che caratterizza questo strumento.
L’analisi mostra una ridotta efficacia ed efficienza delle procedure relative al project financing in Italia. A fronte di una innegabile vivacità nel numero di bandi pubblicati nel periodo considerato, non emerge altrettanto dinamismo in termini di gare aggiudicate.
La ragione di tale insuccesso può essere rintracciata nella scarsa capacità delle amministrazioni pubbliche nella corretta gestione delle iniziative intraprese, nell’assenza di procedure standardizzate e pienamente condivise da parte di tutti gli attori coinvolti, nella scarsa propensione del sistema bancario nel finanziare le iniziative.
Più in generale, il PPP è penalizzato dall’esistenza di una sostanziale impossibilità di valutazione del rischio amministrativo sottostante a qualsiasi iniziativa, il cui successo non può prescindere dalla presenza di certezze di tipo giuridico, amministrativo, temporale e contrattuale.
A questo proposito l’Ance sta mettendo a punto, nell’ambito di un gruppo di lavoro sul Partenariato Pubblico Privato, che vede riuniti tutti i principali soggetti interessati in tali operazioni: Abi, Anci, Banca d’Italia, CDP, Infrastrutture lombarde, Studio legale Legance, Università Tor Vergata, UVAL, uno schema standardizzato di convenzione di concessione di lavori da mettere a disposizione degli operatori del mercato e, in particolare, delle Pubbliche Amministrazioni che vogliano intraprendere operazioni di PPP.
Conclusione
Di fronte allo scenario descritto e alle esigenze illustrate, la Legge di Stabilità rappresenta il momento giusto per rilanciare la politica infrastrutturale del Paese. Serve da parte del Governo e di tutte le istituzioni, più coraggio, affinché nel corso dei lavori parlamentari vengano adottate quelle politiche di crescita e sviluppo che l’Europa non potrà non condividere. Infrastrutture, messa in sicurezza del territorio, degli edifici pubblici, a cominciare dalle scuole, e piano di social housing sono gli elementi che metterebbero il Paese nelle condizione di crescere.
Antonio Gennari, Vice-Direttore Generale ANCE