Fuga dalla crisi 2013 numero 38
L’idea della necessità di dotare le grandi aree metropolitane di istituzioni sovra comunali che possano innovare...
L’idea della necessità di dotare le grandi aree metropolitane di istituzioni sovra comunali che possano innovare nei loro sistemi di governo e nelle loro pratiche di governance non è nuova. Essa nasce storicamente da molteplici esigenze ritenute cruciali nell’attuale fase complessa di crescita fisica ed economica di questi territori, gravida di rischi per la sostenibilità e per la competitività dei territori stessi.
Da un lato, la centralità delle aree metropolitane nei processi di internazionalizzazione e di globalizzazione è apparsa chiara, almeno in Europa, da quando il Presidente Jacques Delors annunciò il progetto di Grande Mercato Unico Europeo nel 1985, cui seguì un prolungato periodo di intensissimi investimenti da parte delle grandi imprese multinazionali – industriali, finanziarie e commerciali – nelle aree di punta dell’economia dei singoli paesi, i ‘gateways’ della loro internazionalizzazione: le grandi città metropolitane appunto.
Il processo terminò nel 1992, anno dell’approvazione del progetto di Mercato Unico, a riprova della strategicità degli annunci (affidabili) prima che delle vere e proprie realizzazioni , ma si ripropose in seguito con caratteristiche assai più selettive: alcune città proseguirono la loro crescita e la loro attrattività, mentre altre – e fra queste le grandi città italiane – restarono sostanzialmente ferme e furono superate da città europee anche di minore taglia e minore storia .
Ma d’altro lato gli intensi processi cumulativi che si mettono in moto allorché la potenza economica e politica delle grandi città si sposa con le decisioni sulle nuove grandi reti di trasporto e comunicazione e con gli elementi simbolici della ‘centralità’ , non possono non generare tensioni territoriali, trasformazioni spesso disordinate, crescite insediative che sfidano la capacità dei sistemi di pianificazione di mantenere un ordinato ed equilibrato sistema territoriale.
Si ha l’impressione che tali sistemi di pianificazione, spesso frammentati, non siano in grado di tenere il ritmo delle trasformazioni e della crescita quantitativa delle grandi città metropolitane . Milano, con un sistema di governo urbano per 1,3 milioni di abitanti, costituisce il polo di riferimento funzionale – ma non il centro ‘ordinatore’ – di un’area di 4 milioni almeno di abitanti (o di 6 milioni come indicano alcuni studi internazionali), un’area fin qui affidata alle cure di un ente istituzionalmente debole come la Provincia. Un controsenso e un chiaro vuoto istituzionale.
Le sfide per il nostro paese – ma anche per tutti gli altri - sono dunque oggi sostanzialmente due, che presentano un’urgenza forte amplificata dalla crisi: una sfida economica e una sfida territoriale e di pianificazione. E non vi è chi non veda che le due si intrecciano fortemente, perché un territorio efficiente e di qualità costituisce elemento di attrattività e di competitività e perché solo una visione di sviluppo che riesca a coinvolgere tutto il capitale produttivo, cognitivo e innovativo presente sull’area vasta può essere capace di rilanciare le nostre grandi città.
Si pone dunque oggi l’esigenza di superare egoismi municipalistici, la storica frammentazione territoriale e la tradizionale modestia decisionale in ambito territoriale nonché la necessità di raggiungere una massa critica sufficiente di risorse: territoriali, produttive, umane, di ricerca e di creatività.
La parte del disegno di legge Delrio che tratta della città metropolitana, approvata dalla Camera e oggi in discussione al Senato, è certamente la più fragile, anche perché sconta un insufficiente contributo di riflessioni da parte della cultura territoriale e un insufficiente dibattito politico sul tema. Certamente questa parte è quella in cui la distanza fra obiettivi e soluzioni appare tale da far presagire un’ennesima occasione mancata per il paese.
Servirebbe infatti, come recita la relazione al disegno di legge iniziale, “uno strumento di governo flessibile, dalle ampie e robuste competenze, in grado di essere motore di sviluppo e di inserire le aree più produttive nella grande rete delle città del mondo”: dunque una istituzione davvero forte, cui delegare dal livello comunale e regionale funzioni di programmazione e di pianificazione di area vasta, capace di interpretare i nuovi bisogni dell’economia e della società e di rilanciare nuove e ampie progettualità.
Ma la proposta legislativa va in tutt’altra direzione: le città metropolitane assomigliano in larghissima misura alle nuove province, già deboli istituzionalmente e ulteriormente indebolite, “enti governati dai sindaci” che prestano gratuitamente i loro servizi, senza risorse per le poche competenze aggiuntive. Le funzioni assegnate sono infatti “le funzioni fondamentali delle province” (pianificazione territoriale di puro coordinamento, infrastrutture interne e servizi di mobilità, ambiente, rete scolastica). Di nuovo e sostanziale troviamo:
- il piano strategico: uno strumento di coordinamento e di indirizzo, che è possibile (e utilissimo) attivare anche in assenza di rivoluzioni istituzionali, come ha dimostrato la recentissima esperienza realizzata con qualche successo dalla Provincia e dal Comune di Bologna;
- la promozione dello sviluppo, ma lasciata totalmente senza risorse;
- la pianificazione territoriale generale, non meglio definita, dimenticata all’art. 1 della legge laddove si elencano le finalità istituzionali generali, che duplica e rischia di appiattirsi sulla pianificazione di coordinamento provinciale.
Di più: se si volesse passare all’elezione diretta di una nuova dirigenza politica metropolitana occorrerebbe lo smembramento del comune capoluogo, una vecchia e sbagliata idea dei primi anni ’90. Indeboliamo la città centrale per costruire una città metropolitana già debole?
Non sembra certo che il nuovo istituto nasca sufficientemente robusto per affrontare i nuovi compiti. Ma vediamo più in dettaglio tre punti chiave: funzioni di pianificazione, articolazione del comune capoluogo e numero delle città metropolitane.
La pianificazione territoriale di area vasta, cui il dibattito disciplinare e politico più recente attribuisce il compito fondamentale di ridurre l’insensato consumo di suolo degli ultimi trent’anni, riorientando l’attività edilizia verso la rigenerazione urbana, esce abbastanza malconcia dal dibattito politico attuale. Si tratta infatti di una funzione tradizionalmente affidata alle (deboli) province e che temo stia subendo lo stesso destino che si vuole per le province stesse: un sostanziale ridimensionamento, in antitesi con la rilevanza dei compiti potenziali.
La attribuzione del compito della pianificazione territoriale a istituzioni di secondo livello (“governate dai sindaci”), come le nuove province e le città metropolitane, è certo accettabile, ma a condizione che se ne definiscano i veri poteri, il sistema di incentivi e in sintesi l’’adeguatezza’ delle nuove strutture, come avviene in Francia per le communautés urbaines. Ricordiamo che il livello comunale non è quello ‘adeguato’ per effettuare una pianificazione territoriale efficace.
Per questo ritengo che la legge deva definire compiutamente e precisamente il significato della funzione di pianificazione assegnata alle CM, al fine di evitare che essa si riduca nei fatti a una pura funzione di conferma di decisioni comunali sostanzialmente autonome o di semplice coordinamento. Non basta indicare che tale funzione si possa realizzare “anche fissando vincoli e obiettivi” all’azione dei comuni; occorrerebbe almeno indicare, come è stato giustamente suggerito , che la pianificazione metropolitana coincida ad esempio con la ‘pianificazione di struttura’ introdotta e definita da molte leggi regionali italiane (distinguendosi dalla pianificazione ‘operativa’ attribuita alla competenza comunale).
I legislatori regionali dovrebbero essere sollecitati a recepire una tale indicazione nelle loro leggi.
Quanto alla condizione dello scorporo del comune centrale in comuni perché si possa procedere all’elezione diretta degli organi metropolitani – una condizione alleggerita alla Camera per le CM con più di 3 milioni di abitanti, ma in modo non chiaro e non facilmente giustificabile - essa potrebbe rispondere all’esigenza di evitare conflitti fra il sindaco del comune centrale e il sindaco metropolitano, una volta che entrambi siano eletti direttamente, secondo la preoccupazione di molti.
Ma ribatterei: perché utilizzare uno strumento nato per tutt’altro obiettivo – quello di evitare scontri fra il comune capoluogo e il suo hinterland – e comunque sbagliato, come ho detto più sopra?
Perché avere paura di un conflitto aperto fra due istituzioni – che potrebbe facilmente essere evitato esplicitando nella norma i principi fondamentali di differenziazione e di adeguatezza delle funzioni attribuite ai due enti – e non del conflitto interno alla figura del sindaco metropolitano, che potrebbe anche in casi estremi configurarsi come conflitto di interessi? Comunque, la condizione di articolazione del comune centrale renderebbe ancora più difficile il passaggio all’elezione diretta del sindaco metropolitano, un obiettivo certo di lungo periodo, che richiede un adeguato rodaggio, ma che comunque dovrebbe restare ragionevolmente raggiungibile.
Una parola sul numero di città metropolitane prevedibili sulla base dell’attuale testo di legge. In Francia, dopo un periodo di sperimentazione di cinquant’anni in cui le communautés urbaines sono state proposte, definite, incentivate, monitorate, si è deciso di passare alle Métropoles lanciandone tre, per il momento. In Italia, dopo un dibattito di qualche mese e nessuna sperimentazione, stiamo per lanciarne 18 (1 + 9 + 5 + 3), aumentabili in futuro, più uno statuto di simile autonomia per due province montane. Ogni commento è superfluo.
Ho potuto verificare che al Senato molte delle perplessità che qui esprimo sono condivise da molti, e alcuni opportuni e precisi emendamenti sono stati presentati, tutti nel senso di un rafforzamento istituzionale e funzionale del nuovo ente. Sarebbe importante sostenerli adeguatamente.
Quale che possa essere l’immediato futuro della legge, voglio suggerire agli attuali sindaci delle grandi città, di concerto con i sindaci di cintura, spesso consapevoli della necessità di una forte unità interna, di lanciare da subito un’iniziativa politica proponendo la loro idea di Statuto metropolitano che includa almeno questi nuovi obiettivi e competenze:
- una forte competenza di pianificazione territoriale “di struttura”,
- una competenza delegata dalle regioni e dallo stato sulla fiscalità delle trasformazioni immobiliari e sulle relative rendite e capital gain, oggi tenuta a livelli incompatibili col finanziamento finanche delle infrastrutture di base e della manutenzione urbana, una fiscalità a carattere necessariamente omogeneo a livello metropolitano,
- un esplicito obiettivo di riduzione dei consumi di suolo, da realizzarsi anche attraverso la rigenerazione urbana,
- un obiettivo di semplificazione ed efficientamento della gestione delle aree produttive,
- una competenza su housing sociale e riuso del patrimonio edilizio inutilizzato,
- l’istituzione di un “consiglio di sviluppo” metropolitano con le parti sociali, economiche e culturali, sull’esempio francese,
- la proposizione di credibili procedure per la partecipazione dei cittadini,
- un’azione di comunicazione e di costruzione di un’identità metropolitana.
Tutte materie su cui il disegno di legge è muto.
Questo paper è stato presentato il 6 febbraio 2014 durante il convegno “Le città metropolitane: una riforma per il rilancio del paese” Firenze, Febbraio 2014
Roberto Camagni - Ordinario di Economia Urbana e di Valutazione economica delle trasformazioni urbane - Politecnico di Milano
Riferimenti bibliografici
Camagni R. (1992), “Le grandi città italiane e la competizione a scala europea”, in P. Costa e M. Tonilo (a cura di), Città metropolitane e sviluppo regionale, F. Angeli, Milano, 23-45
Camagni R. (2001), “Economic role and spatial contradictions of global city-regions: the functional, cognitive and evolutionary context”, in A. Scott (ed.), Global city-regions: trends, theory, policies, Oxford University Press, Oxford, 96-118
Camagni R., Gibelli M.C. (1996), “Cities in Europe: globalization, sustainability and cohesion”, in: Presidenza del Consiglio dei Ministri, European Spatial Planning; Rapporto presentato alla Riunione dei Ministri delle Politiche Territoriali, Venezia, 3-4 maggio. Poligrafico dello Stato, Roma, 91-175