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Burocrazia e inerzia sono nemiche della sicurezza

 

Intervista a Ferruccio Resta, Rettore Politecnico di Milano

Burocrazia e inerzia sono nemiche della sicurezza

 

È stato chiaro il Rettore: “Del crollo del ponte Morandi non le dico nulla”. In effetti il Politecnico di Milano ha realizzato uno studio commissionato da Autostrade d’Italia Spa proprio sullo stato del ponte Morandi, corretto, dunque, che in un momento così delicato dell’inchiesta giudiziaria sul dramma del 14 si scelga la strada della riservatezza. Su quale sia la situazione delle infrastrutture e su che cosa vada fatto, però, Ferruccio Resta ha accettato di parlare

Come giudica l’attuale assetto della struttura tecnica pubblica in Italia?
Ritiene che lo Stato debba investire maggiormente?
Il Politecnico di Milano è un ateneo che sente la responsabilità di formare le nuove generazioni, per prepararle alle professioni future, per accrescere la conoscenza e la competenza attraverso ricerca e innovazione. Dal Politecnico non può che venire un messaggio, quello di puntare sulle competenze e in particolare su quelle tecnico-scientifiche. Oggi più che mai questo è necessario per stare al passo con le nuove sfide, come quelle aperte dalle tecnologie digitali. Formare capitale umano capace di rispondere a questo appello è fondamentale. Non possiamo affrontare i grandi cambiamenti se non investendo in formazione. Big data, sensoristica, internet of things, intelligenza artificiale sono solo alcuni esempi di opportunità che dobbiamo sapere cogliere. Altrimenti ci ritroveremo in un Paese che ha perso delle grandi occasioni, a differenza dei nostri vicini, come la Germania, dove gli investimenti in alta formazione e nel dottorato di ricerca sono piuttosto significativi. La risposta non può che essere un segnale di attenzione ad investire in formazione.

Il problema si affronta sempre “dopo”. Voi avete un range di osservazione molto ampio.
Come evitare i crolli?
Ricognizione, monitoraggio e pianificazione sono gli strumenti necessari per una corretta gestione delle infrastrutture, siano esse stradali, ferroviarie, energetiche o digitali. Un processo che oggi è facilitato dalle tecnologie. Penso in primo luogo agli strumenti di sensoristica, sempre più accessibili. Senza considerare poi la capacità di gestire una mole di dati ampia e articolata. Il problema del “dopo” non è quindi di natura tecnica, ma decisionale. Abbiamo tutti gli strumenti che servono per pianificare correttamente un buon numero di interventi, ma per farlo dobbiamo allungare il nostro orizzonte di riferimento. Dobbiamo cioè cominciare a progettare a lungo termine, a ragionare non nell’ottica del singolo intervento, ma del sistema integrato. Lo dobbiamo ai nostri figli e alle future generazioni.

Che peso hanno la cattiva politica, la burocrazia e la corruzione nella realizzazione e nella gestione delle grandi opere in Italia?
Cattiva politica, burocrazia e corruzione sono sicuramente tra le principali cause che condizionano la pianificazione, la gestione e la realizzazione delle infrastrutture. Ma c’è una differenza. Mentre spesso si parla di combattere la corruzione e la cattiva politica, la burocrazia è considerata un male al quale arrendersi, un morbo senza cura. Al contrario, credo che si debba agire con determinazione su questo fronte, dove spesso vige la logica del “non fare per non sbagliare”. Un’inerzia che rallenta gli investimenti e che riduce gli interventi. Un costo per il sistema e un danno per il Paese. In questo momento storico, un atteggiamento eccessivamente prudente, volto a “difendersi” da potenziali danni, può rivelarsi un rischio ancor più grave. I vertici della pubblica amministrazione dovrebbero contemplare la “mancata decisione” e la “tardiva implementazione” come fondamentali nella valutazione del rischio. Un atteggiamento prudente è a volte più rischioso di una sperimentazione. In alcuni casi, l’attesa potrebbe persino configurarsi come un vero e proprio danno erariale.

Come è cambiato dal boom economico a oggi il modo di concepirle, di realizzarle?
Dal cosiddetto boom economico a oggi è passato più di mezzo secolo. Un buon lasso di tempo durante il quale sono cambiate molte cose. Non mi riferisco esclusivamente alle tecniche di progettazione e di costruzione, ma al nostro modo di intendere il valore delle grandi opere. Ma ciò che più di tutto è cambiato è la volontà di reagire a una trasformazione che è sempre più rapida, il coraggio di guardare lontano e sicuramente la velocità di decisione. Non possiamo più aspettare che le cose succedano. Se un tempo i processi di cambiamento erano lenti e prevedibili, oggi la situazione è del tutto opposta. Sempre di più la velocità di risposta, la rapidità nel prendere decisioni diventa un elemento cardine. Non possiamo pensare di rallentare le grandi opere o di giudicarne il valore nell’imminente, secondo i criteri del nostro presente. Un presente che, per via dei vincoli di cui si parlava prima, rende queste opere superate nel momento stesso in cui vengono messe in atto. Dobbiamo avere il coraggio di agire con prontezza e con lungimiranza.

Che cosa va fatto secondo lei affinché la ricerca, le imprese e lo Stato concorrano a dotare il nostro Paese di infrastrutture adeguate?
Secondo quali principi?
Come dicevo, le infrastrutture sono lo strumento per decidere che genere di Paese saremo in futuro, per stabilire quale genere di Paese vogliamo lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi. Aggiungerei poi che serve riacquisire un po’ di orgoglio per essere competitivi e di coraggio per smuovere la situazione di stallo in cui ci troviamo. Dobbiamo prende atto che le infrastrutture non sono un’ideologia, ma un dovere; non una scelta, ma un’esigenza, un atto dovuto per ritenere il nostro un Paese civile. Per essere ancora più esplicito, penso che le infrastrutture non siano una risposta a delle esigenze, dimostrate con dati attesi o con studi commissionati, ma strumenti per decidere chi e cosa vogliamo essere. Servono investimenti utili alla pianificazione degli interventi, alla manutenzione, alla realizzazione di nuove dorsali. Azioni che comportano decisioni politiche, economiche e tecniche. Abbiamo tutti una grande responsabilità, dall’università, alle imprese, allo Stato. È nostro dovere dare una risposta unita e rapida.    

 

Marco Gregoretti, Direttore, Dedalo

Settembre 2018


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Autore: Marco Gregoretti

TAGS: costruzioni, infrastrutture, Politecnico Milano, Ponte Genova, Ponte Morandi, Sicurezza

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